In queste ultime settimane s’è sviluppato un ampio dibattito sul crowdfunding nel mondo della musica indipendente italiana. Una discussione che nel resto mondo (soprattutto quello anglosassone) va avanti da un po’ di tempo, da quando, soprattutto, è esploso l’effetto Kickstarter, forse, attualmente, la più nota piattaforma di crowdfunding al mondo.
In Italia la discussione ha visto l’intervento di diversi protagonisti del settore, da Giovanni Gulino, leader dei Marta sui Tubi e co-fondatore con Tania Varuni di MusicRaiser, a Massimo Florio dei Lava Lava Love e noto su twitter come @dietnam, fino a Gianni Maroccolo e Claudio Rocchi (che assieme hanno messo su, sempre su MusicRaiser il progetto vdb23/Nulla è andato perso) e Federico Guglielmi (nella foto) storico critico musicale italiano e caposervizio musicale al Mucchio Selvaggio. Proprio a Guglielmi, nell’ambito di un pezzo generale sul crowdfunding uscito su Valigia Blu, avevamo fatto qualche domanda, anche per un post che aveva scritto su Facebook e a cui erano seguiti più di 230 commenti, con interventi di diversi addetti al settore.
Proponiamo qui su Freakout l’intervista completa fatta al critico. A questa seguiranno altre interviste.
Parlando di un progetto di crowdfunding (nello spazio breve di un post su fb e con un video specifico che hai usato come esempio) lo hai definito: “Pietose collette per incidere Pensi che ci sia da fare una distinzione tra diversi progetti per cui chiedere aiuto?dischi, realizzare video e quant’altro”. Credi che sia la definizione (breve) più giusta per un fenomeno ormai globale?
Per essere precisi, ho scritto “a voi sembra logico che sempre più musicisti indicano pietose collette per incidere dischi, realizzare video e quant’altro? A me pare fuori dal mondo, un’assurda e tristissima follia”.
Le “pietose collette” mi sembra siano sotto gli occhi di tutti, ma ciò non significa che tutte le operazioni legate al crowdfunding siano, appunto, “pietose”. Ci sono collette e collette, e con il montare del fenomeno quelle pietose – nel senso di “suscitare sentimenti di pietà”, o se vogliamo di imbarazzo – ovviamente aumentano.
Penso che sarebbe doveroso. Per esempio, mi sembra lecito che un artista in circolazione da poco provi a farsi finanziare il primo disco, ma credo anche che un artista già più o meno affermato dovrebbe ricorrere al crowdfunding solo per un progetto che proprio non ce la farebbe a concretizzare soltanto con i propri mezzi. In generale, credo che un “buon crowdfunding” debba vantare tre caratteristiche: 1, totale trasparenza nella gestione. 2, senso della misura, ovvero aver dietro qualcosa di serio e importante e non capricci o idee pretestuose; 3, buon gusto nella scelta delle “ricompense” per chi finanzia: bene prodotti esclusivi e gadget, malissimo le prestazioni troppo personali. Preferirei anche l’offerta libera a partire da una cifra minima che le contropartite più “generose” per chi versa più soldi.
Non mi interessa entrare nella polemica giusto per, ma in un’intervista a Rockit Giovanni Gulino (nella foto) fa questa obiezione: anche Il Mucchio aveva fatto una cosa del genere quando chiedeva ai propri lettori “una raccolta fondi per sopravvivere”. Insomma un crowdfunding antelitteram. Quale credi sia la differenza?
Il crowfunding esiste dalla notte dei tempi, anche se prima non si chiamava così: Internet l’ha solo reso apparentemente più “figo” e più agevole sotto ogni profilo. Di sicuro se Giovanni non avesse erroneamente interpretato le mie parole come un attacco al crowdfunding in genere e a MusicRaiser in particolare, non sarebbe ricorso, a mo’ di contrattacco, a questo esempio. Il Mucchio è la più antica rivista di rock (e dintorni) esistente in Italia, sulle cui pagine si sono bene o male formati migliaia e migliaia di appassionati, addetti ai lavori e musicisti, che avrebbe chiuso per colpa di un provvedimento governativo palesemente iniquo. Il Mucchio ha organizzato una “svendita” di numeri arretrati, che sono stati subito inviati agli acquirenti, e una campagna di abbonamento, ovvero una cosa normalissima per qualsiasi giornale: a rendere l’operazione assimilabile al crowdfunding erano la cifra da raggiungere e il counter sul sito, ma francamente paragonare il milionesimo disco o un video di Pinco Palla – con tutto il rispetto per Pinco Palla – alla salvezza di uno strumento di cultura che da oltre trent’anni sostiene tantissimo anche la musica alternativa nazionale mi sembra davvero ingeneroso nei confronti di quest’ultimo.
Non credi che il crowdfunding possa essere un modo per aiutare un mercato non proprio florido come quello della musica indipendente (penso anche, in generale, alla crisi di vendite degli album fisici non ancora colmato dal digitale, ad esempio)?
Ho qualche dubbio. Di sicuro porterà alla realizzazioni di dischi – e altro – che diversamente non ci sarebbero stati, di sicuro alcuni di essi saranno di valore, di sicuro verrà fuori anche un sacco di robaccia inutile se non dannosa, di sicuro – in linea di principio – gli artisti già noti, e quindi con parecchi fan-sostenitori, avranno più opportunità degli sconosciuti che magari possono contare “solo” sulla qualità artistica. Al di là dei sensazionalismi dettati dall’entusiasmo per la “novità” e dall’interesse privato di alcuni, a soffocare nella sfiga il panorama indipendente e non solo quello esistono due enormi problemi. Il primo, la crisi generale che ci sta devastando. Il secondo, la crisi culturale – figlia proprio, guarda un po’ della Rete – che ha affermato la bizzarra teoria in base alla quale la musica e l’informazione debbano essere gratuite. Se il crowdfunding può sensibilizzare le coscienze su questo secondo aspetto, ben venga: sono però fermamente convinto che la miglior forma di sostegno possibile per la scena sarebbe acquistare dischi (nei negozi e ai banchetti) e biglietti dei concerti.
Quali credi siano (se credi esistano) i progetti per cui valga la pena provare una strada come questa?
Come accennavo prima, progetti speciali, particolari, che altrimenti non potrebbero forse realizzarsi: per fare qualche fantasioso esempio, la produzione artistica di Scott Walker per Paolo Benvegnù, oppure una seria campagna promozionale all’estero per i Rust And The Fury, o qualsiasi idea creativa che possa favorire l’ascesa di un artista valido. Già oggi è tutto troppo facile, rivolgersi al crowdfunding potrebbe diventare una scorciatoia per investire ancora meno sulla propria musica: chi crede in quello che fa dovrebbe essere il primo a sbattersi per realizzarlo al meglio, anche imponendosi qualche rinuncia. Senza contare che un eccesso di richieste di finanziamento sarebbe letale, perché comunque la coperta rimane la stessa indipendentemente dalla parte da cui la si cerca di tirare.
Al di là del crowdfunding, quale credi sia lo stato della musica indipendente italiana? Se ti chiedessi tre nomi da seguire in questo 2013?
Troppi gruppi, troppi dischi, troppa banalità, troppa ricerca della trovate per farsi notare, troppa poca attenzione per la musica. Per i nuovi nomi, tra gli ultimi esordienti che mi sono piaciuti citerei The Shak And The Speares, fra quelli con maggiore anzianità di servizio i Blue Willa – gli ex Baby Blue- e Unepassante. Temo però, purtroppo, che nel giro si parlerà maggiormente di roba brutta come L’Officina della Camomilla…
Riscriveresti quel post allo stesso modo?
Sì. Ma aggiungendo in fondo, in neretto e a caratteri cubitali, “preciso di non avercela con il crowdfunding in assoluto ma solo con l’eventuale uso improprio o imbarazzante che se ne può fare”.
autore: Francesco Raiola