Il Conservatorio Cimarosa di Avellino torna ad essere meta degli appassionati del rock, per un nuovo grande evento. Dopo i Lambchop e i Dream Syndacate, gli ospiti che arrivano direttamente dalla storia del new wave e del post-punk sono gli Wire.
Un sogno diventato realtà, per una città come quella irpina, reso possibile grazie al lavoro e alla passione di “Fitz”, l’associazione culturale di Lello Pulzone e Luca Caserta, che hanno permesso alla Campania di ospitare l’unica tappa al sud Italia dello storico gruppo inglese.
L’accoglienza nell’Auditorium è quella di un caloroso sold-out che ha coinvolto persone da ogni luogo, per celebrare i qurant’anni dall’esordio e di quella che sarà l’uscita del prossimo album.
Se Clash e Sex Pistols sono mostri sacri del punk dall’altro lato ci sono e c’erano gli Wire. Ora come al tempo ragazzi arrabbiati, che davano voce ai loro sentimenti tramite la musica, aprendo loro malgrado la strada al post-punk, alla sperimentazione, ai synth e alle violente chitarre elettriche e all’accettazione di tutte le influenze provenienti da un mondo mutevole.
Quale posto migliore se non il Conservatorio, per accoglierli, nati proprio nell’ambiente accademico nella Londra di fine anni ‘70.
L’accoglienza irpina inizia con i The Hand, band romana formata da Emiliano Tortora (synth, drum machine e voce), Fabrizio Mazzuccato (chitarra e voce) e Sandro Di Canio (chitarra e voce).
Sonorità fusion: fredde atmosfere post-punk ed elettroniche, nubi verdi che culminano in un robotico noise, ricordando la scuola tedesca. Gli Hand creano un mix moderno per intrattenere al meglio la platea dell’Auditorium, preparando l’atmosfera.
Alle 22 con un leggero cenno ed un timido “buonasera”, salgono sul palco Colin Newman (voce e chitarra), Graham Lewis (basso e cori), Matthew Simms (testiere) e Robert Gotobed (batteria), che salutano il pubblico nel migliore dei modi, iniziando a suonare.
Pochi convenevoli non sorprendono il pubblico, è noto che è una band che fa la differenza per quello che racconta con i fatti o meglio, con le note.
Gli Wire propongono alcuni pezzi dei primi due album Pink Flag e Chairs Missing ma anche 154, tra i più punk, capolavori, aggiungendo qualche inedito.
Neanche il tempo di adattarsi e quando la musica inizia, siamo trasportati in un’epoca che solo i pochi giovani della platea, non avevano vissuto. Tuttavia, ci troviamo tutti camminare tra le strade di Londra, sovrappensiero, con la paura di un mondo che sta cambiando in fretta, ci troviamo a respirare quell’aria fumosa e pesante, senza pessimismo, ma con rabbia ed energia.
Non è forse questo il punk? Non tanto uno stile musicale, quanto un modo di essere e percepire il mondo, è quello che gli Wire ci hanno insegnato questa sera.
L’ascolto diventa sempre più familiare, assumendo le forme di quello che sarà poi proposto nel sound degli anni ‘80 e ‘90 della musica.
Parchi di parole ma ipnotici, effetti alla chitarra frenetici e cupi evitano però di cadere nella tristezza con proposte variopinte. Si respira aria tormentata, ma non vi è malinconia.
I brani si susseguono a raffica come i ritmi che aumentano ed incalzano fino alle distorsioni di chitarra, violenta.
Semplicità ed essenza pura, hanno reso questo concerto più unico che raro, avendo avuto accesso ad atmosfere proibite, perché non è permesso andare indietro nel tempo, ma forse questa sera qualcosa è accaduto, se non fosse per un allarme antincendio che suonando per un minuto ha messo in pausa il live, che ci ha riportato alla realtà. Colin riprende la chitarra e si torna in blu sul palco più profondi e nervosi he mai.
Più che un concerto un’esperienza che tutti noi non vediamo l’ora di rivivere, per i giovani è stato quasi un privilegio ricordare epoche mai vissute. Confidando nell’operato di Fitz e del Conservatorio Cimarosa e restiamo in attesa di notizie sempre più grandi.
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autrice: Noemi Fico