Ascoltando i dischi di Eloisa Atti si può legittimamente pensare che il trasformismo artistico sia una delle sue note distintive, ma magari è più corretto dire che la cantante bolognese, pur spostandosi ad ogni disco tra i vari generi musicali e passando poi dall’italiano all’inglese, mantenga sempre fissa una precisa rotta che è il racconto delle emozioni e la ricerca di chiarezza interiore dei suoi personaggi, declinando in qualche modo sé stessa nella musica con leggerezza ed un tocco surreale e sognante, e scegliendo di volta in volta dei fondali scenografici – l’America profonda, nel caso di Edges – in cui calare storie più universali. Ed i protagonisti di queste canzoni sono catturati in fasi esistenziali e livelli di coscienza diversi, con le proprie contraddizioni, i propri sogni, le mezze verità che raccontano a sé stessi, i momenti di totale lucidità sulla propria vita, i crolli, l’umorismo fulminante, gli slanci, i trionfi, ma anche la celebrazione delle piccole gioie, il loro giusto valore.
I toni spiritati, dylaniani di ‘Each Man is God‘ ci introducono alla cifra stilistica dominante di Edges: una ballad di speranza, dannazione, libero arbitrio, onore, coraggio e coerenza che parte dal blues per approdare nello swing con chitarra acustica, pianoforte ed echi di mandolino che gonfiano il clima di struggimento e compassione, richiamandoci alla nostra comune condizione mortale. ‘Moony‘ è una filastrocca fatalista, lento ipnotico mantra terapeutico e rassicurante capace di scacciar via ansie e paure ricordandoci che siamo piccolissimi ma parte integrata di un tutto più grande, giocato su allegorie e simbolismi che ciascuno può decifrare nei modi più vari, mentre un tamburo rituale ci astrae dalla realtà quanto basta per guardare i nostri piccoli problemi della quotidianità da un’ottica nuova, che ne possa svelare la giusta dimensione; ed un po’ filastrocca è anche la surreale ‘Henry’s Song’, che ci ricorda la vicenda de Il Piccolo Principe, con uno stile ancora una volta dylaniano che sfocia in un più pomposo finale beatlesiano.
Tanto dolce appare Eloisa Atti, tanto pestifera è invece la protagonista di ‘Blue Eyes Blue‘, giocoso calypso con ukulele, pedal steel e piano che ha tutti i connotati del singolo, ed infatti è associato ad un videoclip animato, e svolge anche una funzione di alleggerimento emotivo prima di ‘Edges’, struggente, magnetico, notturno brano per cuori irrimediabilmente infranti dall’andamento della spettrale ballata marinaresca in cui troviamo la vetta poetica di questo disco, ed anche un arrangiamento complesso ed efficace che nelle metafore e nei suoni si riallaccia ad un immaginario lirico gotico molto americano, tra Edgar Allan Poe, Tim Burton, Tom Waits e William Faulkner.
‘The Rest of Me‘ getta un ponte verso le atmosfere di Everything Happens for the Best, disco tributo a Billie Holiday di Eloisa Atti del 2017, e non soltanto per il jazz al chiaro di luna ma anche per il testo, la cui malinconia esistenziale sembra intercettare proprio parte della biografia di Billie Holiday.
‘The Careless Song‘ è un moderno spiritual con un bell’arrangiamento pinkfloydiano nella prima parte che sfocia poi in un finale epico, liberatorio, gonfio di emozione, sicuramente una vetta del disco, tallonata a breve distanza però da ‘Lullaby to Myself’, tenero, delicato spiritual sul voler bene a sè stessi.
Con ‘Sleepy Man‘ siamo dalle parti del roots blues, con un testo situazionista, una chitarra ruspante ma anche un arrangiamento curato e lo stile vocale raffinato di Eloisa Atti, che lo rendono quasi un boogie woogie per quartetto jazz, tipo il Bob Dylan periodo Love and Theft, oppure, di nuovo, la Billie Holiday briosa della prima giovinezza.
‘Cry Cry Cry‘, suona country rock’n’roll, tra Elvis Preasley e Dolly Parton, e l’amore che qui finisce provoca una reazione disperata e scomposta, magari antefatto di ‘Without You’, in cui l’atmosfera confortante di una domenica mattina qualsiasi è introdotta bene dalla musica, mentre il testo narra di un dolore ormai metabolizzato, un’importante presa di coscienza a mente lucida che lascia magari a tratti il dubbio che la protagonista non stia raccontando tutta la verità sui suoi sentimenti a noi come a sé stessa, in un abile e straniante gioco di detto e non detto; ‘Love Signs‘ potrebbe continuare questo gioco, ideale terzo episodio di una trilogia della crisi, ora però a parti invertite, come del resto talvolta accade.
Edges è un disco curato, in cui spessore e leggerezza convivono bene, come anche tradizione e modernità. Che merita, ed è un augurio, di essere conosciuto sia in Italia che negli Stati Uniti.
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autore: Fausto Turi