Una festa tra il mare e l’Etna: il 25 e 26 maggio Catania ritornerà a essere per un weekend la capitale del rock alternativo in Italia, esattamente come a metà anni Novanta quando sui palchi e per le vie cittadine transitavano i nomi più illustri della scena underground mondiale. Arrivavano per condividere percorsi di musica e di vita con il gruppo che oggi celebra trent’anni di attività fieramente indipendente: gli Uzeda. Ovvero Giovanna Cacciola (voce), Agostino Tilotta (chitarra), Raffaele Gulisano (basso) e Davide Oliveri (batteria) con i quali, nei primi anni, suonava anche il secondo chitarrista Giovanni Nicosia. Conobbi gli Uzeda una sera al porto di Reggio Calabria nei primi mesi del lontano 1992. Li aspettavo per condurli al club in cui quella sera avrebbero presentato il loro primo album, “Out Of Colours” (A.V. Arts), uscito pochi mesi prima.
In breve gli Uzeda sarebbero diventati il gruppo più importante che l’Italia alternativa avrebbe prodotto in quegli anni fertili di idee e di band. Dopo quel primo disco notturno e intrigante, che riverberava sonorità post-punk mediate con la sensibilità dell’indie-rock, il cambio netto arriverà con il secondo LP, “Waters” (A.V. Arts, 1993), prodotto – o meglio, registrato – da una leggenda vivente come Steve Albini, chitarrista-cantante di Shellac e prima ancora di Big Black e Rapeman. L’uomo che aveva già fissato su nastro dischi di Pixies, Nirvana, PJ Harvey, Jesus Lizard.
“Waters” non è soltanto una marea emozionale filtrata attraverso un “wall of noise”. È anche il disco che farà conoscere gli Uzeda all’Italia e al mondo. E il mondo, più che l’Italia, tributerà loro sempre grandi attestati di stima. Il più celebre dei quali arriva nientemeno che dal leggendario John Peel che li vuole alla BBC a registrare – unico gruppo italiano, dopo la PFM – due “Peel Sessions”. Gli Uzeda non solo andranno in onda nel famoso programma dell’emittente di stato inglese, ma saranno anche l’unico gruppo “made in Italy” ad avere l’onore di vedere pubblicato, su etichetta Strange Fruit, il risultato di quelle sessioni radiofoniche. Da quel momento, oltre a calcare i palchi di tutta Italia e di mezzo mondo, il gruppo siciliano distillerà con rarefatta precisione un altro EP, “4”, con cui nel 1995 inaugurerà un rapporto di collaborazione con Touch & Go, una delle più stimate etichette indipendenti americane per cui usciranno pure i successivi album, “Different Section Wires” (1998) e “Stella” (2006), dal tiro sonoro ancora più scarnificato.
Quattro album in trent’anni. Una parsimonia produttiva che si sposa con la ricerca del suono perfetto. Perfetto a incanalare sentimenti ed emozioni. E riflessioni non convenzionali. Va anche ricordato il progetto Bellini che, tra il 2002 e il 2009, vede Giovanna e Agostino pubblicare tre album di math-rock – “Snowing Sun”, “Small Stones” e “The Precious Prize of Gravity” – al fianco di Damon Che (Don Caballero), Alexis Fleisig (Girls Vs. Boys) e Matthew Taylor. E il ruolo determinante svolto con la loro agenzia di booking, Indigena, nell’organizzare a Catania, e non solo, concerti e festival indimenticabili (dall’evento gratuito dei Fugazi al Porto nel 1995 agli show di Girls Vs. Boys, Lungfish, Shellac, Brainiac…) che hanno formato una generazione di ascoltatori e musicisti. Adesso, trent’anni dopo l’inizio della loro avventura musicale, gli Uzeda riportano la città etnea sulla mappa dei luoghi che contano nella scena alternativa. Con un evento di due giorni che li vedrà festeggiare un anniversario importante e fare da padroni di casa per Three Second Kiss, The Black Heart Procession e Shellac, il 25 maggio; e per Stash Raiders, Tapso II, June Of 44 e The Ex, il 26. Non poteva esserci, allora, migliore occasione per intervistare un monumento della scena underground mondiale, per ringraziare gli Uzeda per tutto quello che ci hanno dato in questi anni indimenticabili e per far loro i migliori auguri di “buon compleanno”. (R.C.)
Trent’anni. Un periodo lunghissimo per una band indipendente. Festeggerete il vostro anniversario i prossimi 25 e 26 maggio a Catania con tanti amici. Quali pensieri vi frullano in testa e quali emozioni provate nel celebrare questo anniversario?
Sì, un tempo lunghissimo racchiuso in un attimo, del quale percepiamo la pienezza di indimenticabili ricordi e di fantastiche avventure in giro per il mondo che continuano a rinnovarsi nella quotidianità di ciò che musicalmente continuiamo ad essere e ad esprimere.
Come avete scelto le band che suoneranno per e con voi?
Ci siamo lasciati guidare dal cuore, in accordo con le disponibilità di tempo che gli altri avevano.
Come avete immaginato le due serate? Cosa succederà on stage? Avete già una scaletta in testa?
Ci saranno quattro concerti la prima sera e cinque la seconda. Pur essendo il nostro anniversario e di conseguenza noi i “festeggiati”, preferiamo mantenere forte e chiaro che noi stessi siamo anche gli ospitanti, pertanto saremo noi Uzeda ad accogliere tutti aprendo le due le serate. Saremo la prima band a suonare, prima dei gruppi locali, nazionali e internazionali. Al resto ci penserà la musica attraverso i suoni espressi da musicisti con background e culture differenti che si ritrovano su un palco per uno scopo comune: celebrare l’accoglienza e l’amicizia. Non abbiamo nessuna scaletta di brani in testa al momento, la faremo quando e come ci verrà di farla, in maniera spontanea e sempre pensando alle persone.
Suonerete anche brani dal vostro primo album, “Out Of Colours”, che da anni non compaiono più nei vostri live?
Ci stiamo pensando. Come dicevamo prima, non sappiamo ancora che scaletta faremo.
Ci saranno attività extra musicali? Incontri, mostre, dibattiti…
No, è solo una festa di compleanno.
Con il vostro evento-anniversario finalmente Catania ritorna a essere la capitale di “musica altra” come negli anni Novanta fino ai primi Duemila. Una città che, con i suoi gruppi e le sue strutture indipendenti (la vostra Indigena, ma non solo), ha contribuito in maniera fondamentale alla creazione della scena noise nazionale, soprattutto formando coscienza e cultura del D.I.Y..
Come Uzeda esistiamo da più di 30 anni, viviamo a Catania perché cosi abbiamo deciso e da questa città manovriamo fin dall’inizio le scelte che abbiamo fatto e che manterremo fino alla fine. Personalmente non amo la definizione di “musica altra” riferita dagli anni Novanta fino ai primi Duemila, mi suona tanto da amarcord, da “c’era una volta”, com’era bello, ma ora c’e’ altro e ci prendiamo quello che c’è. Se per “musica altra” s’intende il suono di ogni generazione che urla o sussurra la propria urgenza così fortemente da riuscire a provocare un cambiamento della società rivoluzionandone i costumi, allora devo dire che ogni decennio in ogni epoca, ha avuto la sua “musica altra” e anche questo decennio ce l’ha, anche se soffocata e oppressa dallo strapotere dei più forti. Se vogliamo parlare dello specifico periodo a cui ti riferisci, ritengo innanzitutto di dover sottolineare che indipendente e DIY sono manifestazioni della stessa idea, come il corpo e l’ombra, nessuna delle due esiste senza l’altra.
Torniamo agli Uzeda. Cosa bolle in pentola? In rare preziose occasioni suonate dal vivo, ma quando potremo ascoltare un vostro nuovo disco?
Lo potete ascoltare ogni volta che venite a sentirci, perchè noi suoniamo i brani nuovi non appena sono pronti. Registreremo il nuovo disco tra qualche mese. (sotto ph. Shellac)
Da tempo i vostri primi due album, “Out Of Colours” e “Waters” (entrambi usciti su A.V. Arts), sono fuori catalogo. Avete mai pensato di ripubblicarli e, se sì, come mai non lo avete fatto finora?
La A.V. Arts ha venduto tutto il catalogo, inclusi i nostri primi due album, a terzi che poi non ne hanno fatto nulla. Ma non è escluso che un giorno proveremo a riscattarli.
Tutta la carriera degli Uzeda è stata votata alla ricerca di modi nuovi di esprimere emozioni forti attraverso la musica. Un costante “work in progress” che vi ha portato a essere uno dei gruppi italiani più apprezzati a livello internazionale. Partendo da “Out Of Colours” vi va di sintetizzare in poche parole cosa ha significato ogni singolo disco della vostra luminosa carriera?
Non è facile. Ogni disco è stato frutto di quanto vivevamo nelle nostre vite personali. “Out Of Colors” era nato con l’intento di essere una demo, erano proprio i primi passi, un po’ incerti nell’intenzione. “Waters” è stato più voluto e molto più “chiaro”. “The Peel Sessions” è stata un’esperienza indimenticabile che ci ha dato molta più sicurezza e la sensazione che potevamo parlare in modo ampio, a più persone, che non c’erano confini per il linguaggio che avevamo scelto. “4” è stato il cambiamento profondo.”Different Section Wires” ha cristallizzato quanto avevamo percepito con le Peel Sessions, cioè che potevamo parlare e scambiare emozioni con più persone. “Stella” è la consapevolezza delle nostre scelte e la volontà di proseguirle.
Chi ha vissuto gli anni Novanta porta su di sé i segni di quell’incredibile stagione, sia dal punto di vista musicale ed estetico sia dal punto di vista attitudinale. Guardando l’attuale scena musicale italiana pensate che si sia creata una frattura con quel modo di vivere e intendere la musica indipendente?
Di sicuro c’è molta confusione. L’aver sostituito nel significato il termine “indie” inteso come genere a “indie” inteso come indipendente, ha sicuramente fatto la differenza, pertanto è logico che si sia creata una sorta di frattura, ma è naturale che ci sia tra due cose che vengono chiamate nello stesso modo, ma non sono la stessa cosa. È la linea di demarcazione tra due significati diversi.
La vostra attitudine vi ha portato non solo a collaborare con etichette e produttori di punta della scena indipendente internazionale (Touch & Go, Steve Albini, ecc.) ma anche a spendervi in prima persona nell’organizzazione dei tour attraverso la vostra agenzia Indigena. Dalla metà degli anni 90 fino, più o meno, al 2005-2006 tutto ciò che ruotava attorno alla musica (vendita e produzioni di dischi, tour, comunicazione, stampa musicale) aveva un valore economico che oggi è difficile da ricreare. C’era una separazione netta tra ciò che era mainstream e ciò che era indie: due mercati diversi, dove però chi si muoveva nell’underground riusciva comunque a veicolare la propria musica senza rimetterci di tasca propria. Oggi la situazione sembra completamente cambiata…
Oggi non c’è più tanta differenza, nella metodologia di lavoro e nelle intenzioni, tra quello che è mainstream e quello che non lo è.
Cosa vi aspettate per gli Uzeda nei prossimi trent’anni e come immaginate il futuro della musica indipendente/underground?
A saperlo, ahahah! Mi riferisco ad Uzeda, naturalmente! La musica indipendente, se veramente tale, ci sarà sempre. La nostra città, che è stata tante volte sotterrata dalla lava, ci ha insegnato che i fiumi sotterranei, a dispetto di tutto, scorrono sempre sotto la roccia e raggiungono il mare.
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http://www.touchandgorecords.com/bands/band.php?id=84
di Roberto Calabrò e Giulio Di Donna