Conosco i Girls in Hawaii dall’estate del 2004, quando con il promo album From here to there il gruppo belga aveva vinto la selezione come miglior band emergente dell’anno del Festival Internacional de Benicassim ed era stato invitato a esibirsi, tra un concerto dei Love e uno dei Lali Puna. Dopo quel primo album fortunato – colonna sonora dei miei risvegli e dei momenti importanti – arriva dopo cinque anni il secondo, Plan your escape, nel 2013 il terzo, Everest, e nel 2017 l’ultimo, Nocturne.
Siamo al Monk, è venerdì, non c’è moltissima gente, ci diciamo che siamo lo zoccolo duro dei fan. Li aspettiamo.
Arrivano sul palco e aprono con This light, da Nocturne, che sembra un’intro lenta e accogliente, e dopo poco arriva Indifference, a mio avviso la traccia più bella del nuovo album, che un po’ gioca con l’elettronica e un sound lievemente anni ’90, mantenendo però le ripetizioni, la voce soffusa, i toni bassi.
Hanno di bello i Girls in Hawaii la fedeltà al progetto, e l’omogeneità di sonorità e atmosfere condivise e presenti in tutti gli album, e che permette a quello che viene dopo di aggiungere, integrare i precedenti. Hanno di bello una linearità dalla quale si distingue, netta, una crescita.
Facciamo un salto indietro nel nostalgico e dolorosissimo a Everest – l’album è arrivato a un anno dalla morte prematura di Danies Wielemens, batterista e cofondatore, insieme al fratello Antoine (voce e chitarra) del gruppo – con Changes, Switzerland, Misses e Not dead. Siamo a metà concerto, questi sei ragazzi belgi che, chissà, preferirebbero essere sei ragazze alle Hawaii, si sentono a loro agio, ci raccontano della passeggiata in bici che hanno fatto, del sole che c’è a Roma, di come sono stati accolti bene, ci promettono che torneranno – ma la prossima volta sceglieranno meglio l’osteria perché hanno mangiato solo pesce e Brian, il batterista, odia il pesce. Ci dicono che è primavera, che in Belgio la primavera è un’altra cosa e che bisogna festeggiare questo momento e lasciarla alle spalle. Quindi dopo Sun of the sons, e il suo attacco celebrativo e altisonante, si scatenano con Time to forgive the winter, dal loro primo album. È più decisa, fresca, loro sono più energici, saltano e si cambiano di posto, arriva anche il fumo sul palco, saltano ed esorcizzano l’inverno. Saltiamo anche noi e ci lasciamo alle spalle la pioggia di questi lunghi mesi invernali.
Continuano ad amalgamare pezzi del nuovo album come Walk con pezzi dei precedenti, mescolati quasi a caso: The fog, Road to luna e Birthday call, e chiudono con un pezzo che ha il gusto e la brevità di un epilogo: Rorscarch, prima del bis: Flavor, Guinea pig e una cover di AM 150 dei Grandaddy che ci accompagna verso l’uscita e ci resta in testa ancora per un po’, e non la vogliamo lasciar andare, come la sensazione di euforia nostalgica dei Girls in Hawaii.
https://www.facebook.com/GirlsInHawaii
http://www.girlsinhawaii.be/
autore: Serena Ferraiolo