Sesto doppio album per il gruppo norvegese, sempre più legato al classic rock. Con “The Tower” il trio inizia a lasciare il progressive, seppure alcune tracce vi rimangono, per omaggiare il rock del periodo che va dalla fine degli anni ’60 a tutti i ’70. Se con “Phanerothyme”, e poi con diversi lavori della fine degli anni zero, la band di Trondheim si era infatuata della sperimentazione flower power, in questo ultimo lavoro i riferimenti sono doppi. Da un lato ci sono ancora le ballatone hippie, dall’altro l’hard rock di matrice anglosassone; per la precisone quello che deve molto ai Deep Purple.
Il primo disco si apre con la title-track, unico brano puramente progressive, quasi a voler simboleggiare un passaggio dalle produzioni precedenti ad un’ulteriore evoluzione. A seguire “Bartok of the universe”, un brano intenso, tagliente e circolare e al tempo stesso enfatico e orchestrale. Con “A.S.F.E.” siamo totalmente dalle parti dei migliori Deep Purple, quasi una costola di “Highway star”, mentre i quasi dieci minuti di “Intrepid explorer” riprendono alcuni prodromi del prog ma verso la psichedelia pinkfloydiana/beatlesiana con un finale che evoca la complessità di cui sono maestri i Godspeed You! Black Emperor.
Se con “Stardust” si concedono una scarnificata ballata elettroacustica con “In every dream home (there’s a dream of domething else)” la tensione domina, con chitarre particolarmente taglienti e circolari.
Il secondo disco è per metà un fiorire di ballatone hippie con richiami alla California degli anni ’60 e in particolare a quella di CSN&Y. Nella più lunga del lotto, “A pacific sonata”, viene omaggiato il solo Neil Young, quello bucolico. La seconda metà, invece, si torna alle chitarre che spaccano, vuoi con la portentosa “The cuckoo”, vuoi con l’ennesimo omaggio ai Deep Purple, miscelato a momenti più melodici. La cosa bella dei Motorpsycho è che anche quando hanno poco di innovativo da dire, dimostrano di essere comunque in continua evoluzione. Un pregio non da poco, soprattutto di questi tempi!
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autore: Vittorio Lannutti