Pierpaolo Capovilla continua a mantenere alta l’attenzione su entrambi i suoi principali progetti musicali: Il Teatro degli Orrori e One Dimensional Man. All’inizio di febbraio di quest’anno è uscito l’ultimo lavoro degli ODM, il settimo in totale (compresa una compilation). A questo nuovo progetto, insieme a Capovilla ha lavorato Franz Valente alla batteria (Il Teatro degli Orrori) e Carlo Veneziano alla chitarra, che aveva già suonato nel gruppo ai tempi di “Take me away”. Questo nuovo lavoro del trio veneto entusiasma non poco e per diversi motivi.
Il primo è che si differenzia notevolmente dal precedente “A better man”, forse l’unico passo (mezzo) falso, dato che era troppo intriso di elettronica. In “You don’t exist”, infatti,la band ha ripreso il noise urticante che lo aveva caratterizzato nei primi lavori, ma che soprattutto trova un filo conduttore con i Buñuel, l’altro progetto musicale di Capovilla e Valente con Xabier Iriondo (Afterhours) e Eugene S. Robinson (Oxbow). Il secondo sono le tematiche di peso, come sempre quando si tratta di lavori di Capovilla.
I testi trattano di guerra, individualismo, indifferenza, disgregazione sociale, ansie e angosce. Il disco si apre con la frenetica ed irruente “Free speech” per proseguire con l’inquietante, e per certi versi tirata, title-track. L’unico brano che ha un chiaro legame con il blues è “A crying shame” per i tre quarti una ballata acustica ed arpeggiata ma che nel finale cresce e si elettrifica. Il disco prosegue con altre ondate di noise che sia frammentato (“Alcohol”), scheggiato e deciso (“Don’t leave me alone”), tanto da evocare da un lato i Buñuel dall’altro i Jesus Lizard. Tuttavia, il brano più ficcante ed efficace è il conclusivo “The American dream”, uno spoken word che termina con un noise catastrofico, quasi ad indicare i danni fatti dagli Usa al resto del mondo.
Un disco azzeccato e necessario in quest’epoca ipocrita, perché crudo e privo di inutile orpelli, ma sfacciatamente hardcore nell’attitudine.
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autore: Vittorio Lannutti