Con il primo disco, Cave Canem, del 2014, in una formazione a cinque, avevano gridato la rabbia di adolescenti condannati a vivere, sotto il Vesuvio, nell’ipocrisia di una realtà bloccata sotto tutti i punti di vista. Ora, quattro anni dopo, gli Hyena Ridens intraprendono un nuovo viaggio, un disco più complesso e maturo, dopo una stagione di promozione durata circa un anno che li ha visti tra l’altro esibirsi come spalla dei Verdena.
Ridottisi a tre, (rispettivamente basso e voce, batteria e tastiere) Gennaro Davide, Paolo Cotrone e Paolo Astarita scelgono di non seguire le impronte del bellissimo primo disco, ma di evolvere ancora, sia musicalmente che dal punto di vista testuale.
Meno incandescenza, dunque, meno rabbia, meno chitarre e invece suoni più evoluti, studiati, complessi, che li proiettano direttamente alla svolta progressive, chiarissima sin dalle prime note di Ronzinante, che poi è un intro per la title track del disco, La Corsa, che è anche la canzone manifesto. Tastiere e archi, effetti, chitarre distorte, e la voce sempre cupa e onirica, per raccontare e criticare l’idea errata di una vita tutta protesa alla competizione, al principio di prestazione, alla corsa appunto.
Subito dopo, Fantasmi, il primo singolo, procede sempre più verso atmosfere musicali oniriche, freudiane, utili ad evocare fantasmi e paure contro le quali la voce di Davide lotta come in un esorcismo tutto interiore.
Il tema dell’esplorazione da interiore si fa apparentemente esteriore con Palomar, splendida ballata, per poi evolvere ancora in esplorazione dell’altro e dei sentimenti con Laura, forse la prima vera canzone romantica della band. Siamo lontani un mondo dall’immediatezza, dalla furia di Cave Canem, ma è proprio questa la bellezza di questo disco, il fatto cioè che completa e contemporaneamente porta ad evoluzione il suono e le tematiche di questa band che da adolescente dopo 4 anni sembra diventata già adulta, in pieno possesso dei loro straordinari talenti musicali.
Il disco ne risulta più difficile, più graffiante e seducente al lungo ascolto: c’è spazio pure per un pezzo tutto strumentale, Un Pianoforte nell’abisso: annunciato da un gran rumore di chitarre distorte, sembra tornare al rock pesante, ma è in realtà il pianoforte evocato nel testo e poi il sintetizzatore a dettare la trama musicale.
Il Ritorno e Tradimento continuano nel pieno solco progressive mentre Essere Umani conclude in un certo senso la esplorazione “esistenziale”, che è poi la vera svolta, sul piano testuale, della band.
Vesuvio, infine, cover de E’Zezi, sembra far ritornare la band alle atmosfere arrabbiate e di denuncia di Cave Canem: quasi come in un contraltare, una seconda parte di Non Basta il Mare, i tre ragazzi scelgono non a caso la cover di una band assolutamente marcata per stile e sound per tornare a parlare, polemicamente, della loro città, la Napoli delle mille contraddizioni.
Metaforicamente in sella a Ronzinante, il cavallo di Don Chisciotte con cui i tre iniziano La Corsa, Davide Cotrone e Astarita si sono tuffati in una sfida certamente più grande di quella del disco d’esordio, cantare non tanto per denunciare o rivoltare ma per esplorare, cominciando da se stessi, le proprie paure, i propri totem (Fantasmi, Il Ritorno, Tradimento). E l’evoluzione delle tematiche li ha portati a una svolta nel sound, che non rinnega il rock underground di primi anni ’80 di Cave Canem, ma lo approfondisce, lo porta al massimo compimento, in un certo senso lo sublima. La sfida ora è vedere cosa proporsi come prossima sfida.
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autore: Francesco Postiglione