«Un piccolo grande capolavoro, da guardare insieme o in compagnia dei più piccoli» di Michela Aprea
Come raccontare ai bambini della morte? Del legame che resta, della memoria che continua a vivere e piano piano prende lo spazio della tristezza per farsi talvolta gratitudine e, magari, anche gioia, per il tempo vissuto insieme, per gli abbracci, i baci, le lacrime, le risa e la solida certezza di condividere con i propri cari radici inesorabilmente comuni e inestirpabili?
Come far comprendere al vivace Miguel che quella che appare soltanto come una noiosa ricorrenza, il Dia de los Muertos, ha invece un valore importante che, seppure non riuscirà a svelargli il suo destino, di certo consentirà al piccolo preadolescente di conoscere cose di sé inimmaginabili?
Come spiegare al piccolo e dolce dodicenne ribelle, protagonista dell’ultima fatica Disney Pixar, le origini di quella gabbia protettiva che la sua famiglia gli ha gettato addosso impedendogli di abbracciare e inseguire i suoi desideri e rischiando di costringerlo ad un futuro preordinato e indigesto?
Come raccontargli le ragioni di quelle che ora gli appare soltanto come un’ ingiustificata e spietata insensibilità? E regalare al pubblico il senso più intimo e profondo della parola “legame”?
Soltanto i celebri Studios con base a Emeryville, in California, che hanno dato vita, tra gli altri, a capolavori dell’animazione CGI come “Up” e “Inside Out”, potevano riuscire a muoversi tra gli angoli di un argomento tanto spinoso, quanto il lutto, in un contesto così inafferrabile come soltanto la famiglia sa essere, e farlo restituendo allo spettatore un’opera perfetta dove commozione, divertimento, intelligenza, meraviglia si fondono mirabilmente insieme dando vita ad una coreografia (di suoni, personaggi, dialoghi, azioni) impeccabile, scevra da ogni sbavatura.
Il tutto nonostante il lungo travaglio che ne ha caratterizzato la realizzazione.
Diretto da Lee Unkrich e Adrian Molina, “Coco” è un piccolo grande capolavoro, che continua a conquistare il pubblico, guadagnando in appena tre settimane oltre nove milioni di euro, nonostante un percorso assai tortuoso e “Frozen – Le Avventure di Olaf” , il contenuto speciale firmato da Walt Disney Animation Studios che precede la proiezione e che negli Stati Uniti è stata oggetto di protesta da parte del pubblico, che ne ha (giustamente) chiesto la rimozione.
La scelta di abbinare il medio metraggio al film pare sia giustificata da due motivi: da un lato, la necessità di rispettare una tradizione della Pixar come quella di far precedere la proiezione dell’opera principale da un cortometraggio; dall’altra la necessità di fugare il rischio di un insuccesso (pare che Lee Unkrich non fosse certo di aver dato vita ad un masterpiece).
Inoltre, “Lou”, il corto prodotto dalla Pixar, era già stato inserito prima di “Cars 3” e “Frozen – Le Avventure di Olaf”, rappresentava l’unica proposta alternativa disponibile.
La Disney, a questo giro, però, si è spinta troppo oltre, realizzando un “corto” di ben 21 minuti. Un prodotto potenzialmente indigesto, considerando anche i tempi dei trailer che precedono le proiezioni in sala. Ma non abbastanza da scalfire la bellezza dell’ultima opera targata Pixar (candidata agli Oscar per l’animazione, Annie Awards).
Così Unkrich e Molina hanno dato vita ad successo, senza pari, nonostante:
- Olaf (come già abbondantemente riportato);
- le accuse di plagio al “messicanissimo” Il libro della vita (2014) di Jorge R. Gutiérrez (che pure racconta del “Dia” e gode di un cast super messicano da Diego Luna a Hector Elizondo). Ma il papà di Monsters & co. e Alla ricerca di Nemo aveva in mente la sua storia sin dal 2010 e lo stesso Gutiérrez, non ha ancora mosso alcuna accusa nei confronti della concorrente a stelle e strisce. «L’ambientazione – afferma Adrian Molina in un’intervista rilascia a Best Movie – è la stessa, ma sono due film che raccontano due storie diverse. “Coco” è prima di tutto la storia di una famiglia, sull’importanza delle proprie radici. “Il libro della vita” è un bellissimo film e siamo solo contenti che abbia portato attenzione in modo autentico sulla cultura messicana».
- I tentativi della Disney di registrare il marchio “Dia de los Muertos“, con successiva petizione su Change.org per impedire alla major di prendere copyright di una festività religiosa (una profanazione troppo aberrante anche per Topolino e i suoi).
- La necessità di cambiare nome in Brasile dove Coco, significa altro (e quindi è stato sostituito con un alquanto ossimorico “Viva”).
Insomma, una lunga carrellata di intoppi in grado di rallentare la produzione ma non di impedire a Unkrich e i suoi di andare avanti e, in tre anni di sopralluoghi e ricerche, di visitare musei, villaggi, chiese, cimiteri lungo tutto il territorio messicano alla ricerca delle location da riproporre in fase di animazione.
«Durante quei viaggi ci hanno accolto nelle loro case – ha affermato il regista – e ci hanno insegnato con gioia le loro tradizioni culinarie e musicali, raccontandoci le storie personali e familiari. E soprattutto abbiamo avuto la possibilità di sentire l’importanza che la famiglia riveste nelle loro vite».
A fare da guida, una squadra di tre consulenti formata dal fumettista Lalo Alcaraz, (inizialmente critico verso il progetto), il drammaturgo Octavio Solis e l’ex-CEO della Mexican Heritage Corporation Marcela Davison Aviles e, come ha affermato Adrian Molina: «Soprattutto l’arte di Juan Guadalupe Posada» le cui immagini sono state fonte di ispirazione essenziale per dare vita al Día de Muertos raccontato dal film. «Il primissimo personaggio che Miguel incontra nella Terra dei morti – riporta il co- regista nella già citata intervista per Best Movie– è ispirato a una famosissimo creazione di Posada: La Catrina».
Ma non è soltanto l’inconografia messicana ad aver esaltato il film. Molto lo si deve a un celebre cortometraggio del 1929 della casa d’animazione statunitense : The Skeleton Dance.
Come racconta lo stesso Molina: «Quel corto, in effetti, è stata una delle fonti di ispirazione principali: tutti noi animatori lo proiettavamo in loop nelle nostre stanze mentre realizzavamo gli storyboard proprio per ricordarci dell’energia che puoi ottenere animando degli scheletri. Paradossalmente, gli scheletri sono i personaggi più carichi di vita e più divertenti dell’intero film. Abbiamo costruito queste figure in modo che non fossero per nulla spaventose, quanto vivaci e comiche. Animare gli scheletri è stata forse la parte più interessante: dato che non hanno muscoli e quindi non c’è nulla che li tenga “legati”, si possono muovere come vogliono, non seguendo i rigidi schemi dell’anatomia umana ma scomponendosi e ricomponendosi in infinite combinazioni».
Coco, di cui non sveleremo molto altro, è un film da non perdere. Da guardare da soli o, se se ne ha la possibilità, insieme ai propri bambini. Un film intimo, in grado di arrivare al cuore di ciascun spettatore e di svelare l’immensa importanza che hanno le azioni in vita più di qualunque cosa. Perché neanche nell’Aldilà, in barba alla celebre poesia dell’immenso Totò, “La Livella”, possono essere colmate le differenze così come le brutture patite o fatte in vita. E ad ogni modo di certo non saranno i morti a poter rivendicare giustizia per le azioni patite o a subirla per quelle occorse.
Così, in una narrazione che non è mai accomodante né accondiscendente, la pellicola svela il volto più cupo della vita: la sua profonda ingiustizia.In vita come in morte.
E allora anche il caro e dolce Hector, interpretato nella versione originaria da Gael García Bernal, può rischiare di finire nell’antro dell’oblio: lì dove nessuno torna più indietro. Lì dove nessuno più si prenderà cura del suo ricordo. Lì dove la Storia interviene con la sua immensa coltre, tacendo tutto. Senza neanche il tempo dell’ultimo bicchiere.
Tra avventure mirabolanti e gag scanzonate, continui intervalli musicali (la musica impera nel film, con canzoni originali a firma anche di Adrian Molina e Germaine Franco oltre che di Robert Lopez e Kristen Anderson-Lopez e la colonna sonora curata da Michael Giacchino, già vincitore di un Oscar per Ratatouille) e pazzeschi incontri con personaggi visionari e legatissimi all’immaginario messicano e alla “señora muerte”, Miguel riuscirà nella sua eroica impresa, lasciando gli spettatori piangere e ridere senza limiti. E scampo.
Una curiosità: “Ricordami”, la canzone principale del film, nella versione italiana è interpretata dal giovanissimo Michele Bravi.