«A distanza di un anno da “Mamma o papà?”, pellicola che già li aveva visti insieme, torna sul grande schermo la premiata coppia Albanese – Cortellesi con una commedia fin troppo leggera, ai limiti della più inconsistente caricatura macchiettistica. A salvare il film il calibro, quello rilevante, dei due attori protagonisti: unica nota positiva di un’opera altrimenti poco memorabile» di Michela Aprea
La distanza tra Monica (Paola Cortellesi) e Giovanni (Antonio Albanese) è siderale, almeno quanto quella che tiene lontani i rispettivi appartamenti: il primo a Bastogi, ai limiti di Roma; l’altro nel pieno centro della capitale perbene, quella che conta, che pensa e agisce per tutti. Anche per quelli delle borgate.
Monica e Giovanni sono per la società come acqua e olio, fatti apposta per non miscelarsi. Ma la vita, si sa, è fatta di paradossi e l’amore ne è il più grande degli artefici. Galeotti furono i figli: lei, Agnese (interpretata da Alice Maselli), grazioso gioiello bon ton intriso della “crème de la crème” della dottrina pseudo progressista che ancora percorre alcuni salotti altoborghesi, specie romani; lui, Alessio (alias, Simone de Bianchi), “trucido mohicano de’ borgata”, faccia d’angelo e aspetto da duro.
I due si piacciono, si fidanzano e sono troppo impegnati a conoscere se stessi nei rispettivi nuovi corpi da pseudo-adulti per fregarsene di tutto ciò che c’è intorno. Tanto l’amore a quella età conta finché non lascia spazio al nuovo e ai soldi per uscire e divertirsi ci pensa… papà! Così come a tutto il resto. Eh sì, perché Giovanni è un pensatore professionista. Lui per lavoro elabora. È l’anima di un think tank che si occupa proprio di periferie e di rigenerazione urbana ed è impegnato a Bruxelles per convincere il parlamento della necessità di allocare nuove e ulteriori risorse a favore delle persone che vivono ai margini dei grandi agglomerati urbani.
In fondo, anche se fino ad un attimo prima di incontrarla non l’avrebbe mai immaginato, Giovanni lavora al servizio proprio di persone come Monica, “guerriera” dall’animo gentile: un angelo mentre serve gli anziani ospiti dell’accogliente e signorile casa di riposo per cui lavora; un diavolo cosparso di tatuaggi floreali e lettering, imponente sul podio delle sue zeppe, e delle sue certezze.
“Tanto è tutto un magna magna” continua a ripetere. Un modo per giustificare se stessa e quello che le è intorno. Un modo per continuare ad essere così com’è e a restituirla la violenza che tutti i giorni subisce. E allora eccola, smettere i panni di docile proletaria per indossare, nella sua utilitaria, quelli di “Vachiria di periferia”: sprezzante del pericolo, con una mazza da baseball a farle da cane da guardia sul sedile di fianco, pronta a farsi sguinzagliare all’occorrenza, frantumando tutto ciò che possa ostacolarne l’inesorabile passaggio.
È soltanto l’amore genitoriale ad unire i due, insieme alla preoccupazione di minimizzare i danni che un innesto tanto improbabile quanto quello tra le loro due piccole e comunque indifese creature potrebbe determinare.
Quello che accadrà sarà quanto di più probabile, facendo del film la solita commedia all’italiana, da dare in pasto ad un pubblico dalla bocca buona, poco importa se al cinema o in tv. Peccato perché Antonio Albanese continua a dimostrarsi uno dei migliori, se non il migliore, degli attori italiani del momento.
Nonostante una sceneggiatura carente e a tratti sguagliatamente autocompiacente, l’attore ha continuato a stare stretto al suo personaggio, senza mai tentare di liberarsene o cedere e fare un passo in troppo in avanti.
È stato sempre aderente al suo Giovanni, proteggendolo dal pericolo di sbavature, anche di fronte alle note più basse. La vicinanza con Paola Cortellesi, anche a questo giro, l’ha esaltato. E non era per nulla un risultato scontato, segno, invece, della grande qualità attoriale dei due. E della grande sintonia che li unisce. Ma entrambi hanno dovuto affrontare (e pagare) le pene della volgarità di un lavoro di scrittura caricaturale (a cura dello stesso Riccardo Milani insieme alla moglie Paola Cortellesi oltre che di Furio Andreotti e Giulia Calenda) che ha espanso i loro personaggi fino a renderli ridondanti, eccessivi, finti.
Effetto collaterale che sia Antonio Albanese che Sonia Bergamasco (nei panni di Luce, improbabile e raffinata coltivatrice radical chic di lavanda in Provenza, ex attivista e moglie di Giovanni) hanno saputo ben contenere e governare, uscendone pressoché illesi.
Altro esito quello raggiunto da Paola Cortellesi che tra zeppe da vertigine, trasparenze e stampe maculate ha eroicamente resistito al costante pericolo di volgari sbavature macchiettistiche. Eppure qualche scivolone l’ha preso. Subito contrapposto da momenti di sublime realtà e di pura comicità. Come nel rapporto con le sorellastre Sue Ellen e Pamela (all’anagrafe Alessandra e Valentina Giudicessa), incontrate durante la realizzazione del film e genialmente inserite nella sceneggiatura originale (possiamo dire: “sono nate due stelle!”), oltre che nel racconto – quello sì verista – sul metissage nei palazzoni di borgata.
Tutto regge spericolatamente, anche il cammeo di Franca Leosini e il racconto delle gite a mare a Coccia di Morto e Capalbio, tra stereotipi da rotocalco di quart’ordine e gag senza inventiva. Fino all’arrivo della goccia, il leonino Claudio Amendola, che davvero lascia traboccare il vaso.
Il troppo storpia ed è forse questa la pecca di un film comunque piacevole che, se soltanto avesse avuto meno pretese, allora sì avrebbe potuto restare memorabile.