Il settimo disco di Oumou Sangaré, intitolato Mogoya, giunge a cinque anni dal precedente, e porta avanti la contaminazione tra musica etnica di tradizione maliana wassoulou, impronta cantautorale di denuncia e forma pop e dance di respiro internazionale.
Ambasciatrice della Fao da tanti anni, impegnata in difesa delle donne africane contro i matrimoni precoci, le mutilazioni genitali, l’abbandono scolastico e la poligamia, miss Sangaré, che in Settembre 2017 si è esibita in Italia in due date, è una delle regine della musica africana moderna ed una vera diva in senso classico, narratrice del continente nero di oggi, che si tiene lontano dalla colorita e disordinata world music da cartolina ad uso e consumo dei turisti come dalla smorta deriva colta che piace tanto ai festival etnici occidentali, nonché anello di congiunzione tra le grandi voci africane del passato – Miriam Makeba, Cesaria Evora, Letta Mbulu, Angélique Kidjo… – e le più giovani Rokia Traorè, Y’akoto, Gigi Shibabaw e Fatoumata Diawara.
Mogoya si muove agile tra strumenti tradizionali (tanta kora, virtuosissima, tra incisi fulminanti e riff, e poi percussioni come se piovessero) e parti elettroniche, fulminanti brani pop (‘Kamelemba‘), intensi e corali spirituals (‘Mali Niale‘), brani afrobeat (‘Djoukourou‘, oppure ‘Kounkoun‘, incisa con solo strumentazione elettrica), mentre ‘Minata Waraba‘ e la formidabile ‘Bena Bena‘ sono le tracce in cui più è spinta la stratificazione di modernità e tradizione, da cui esce fuori un quadro reale del Mali odierno, di ciò che realmente i ragazzi del paese probabilmente ascoltano alla radio. ‘Yere Faga’, col contributo di Tony Allen, è un continuo volteggiare su un ritmo trattenuto, mentre subito dopo ‘Fadjamou’ dà inizio alla festa più sfrenata, secondo un collaudato incalzante schema ritmico tra Fela Kuti, Youssou N’Dour, Salif Keita e Bombino.
L’indubbia qualità della scrittura musicale, vera premessa per il successo di un disco, completa il quadro di un album molto riuscito, probabilmente destinato a rimanere tra le cose più specificamente pop e classiche, in senso beninteso alto, della produzione di Oumou Sangaré, che come già detto riesce, con importanti doti d’interpretazione, a rendere ogni cosa fluida.
C’è tempo per un’ultima sorpresa, che giunge col brano conclusivo del disco intitolato proprio ‘Mogoya’: messe da parte le percussioni ed i ritmi serrati miss Sangaré ci conduce per mano sulle ali di una elegante melodia in un luogo da sogno, trasfigurazione ideale di un’Africa che, malgrado tutto, rimane luogo vivo, vitale, contrapposto ad un Occidente ripiegato, stanco, decrepito.
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autore: Fausto Turi