L’obiettivo di Fabio Macagnino è generare un sound che potremmo definire anti-folk. La tradizione, culture millenarie, vanno spesso di pari passo con le produzioni di artisti che si “sporcano le mani” attingendo dalle radici, spesso dei paesi del sud del mondo. Non è diverso Macagnino che, dopo esperienze come attore nonchè da architetto, si cimenta in questo nuovo lavoro dal titolo Candalìa edito da Sveva Edizioni. Molte le collaborazioni illustre che aiutano il nostro calabrese in un tentativo ben riuscito di rielaborazione del folk. Troviamo dunque alla produzione Paolo Del Vecchio, già produttore di Peppe Barra e Marina Mulopulos, coadiuvato da Rocco Pasquariello; Agostino Marangolo alla batteria e Ernesto Vitolo all’organo hammond (entrambi storici collaboratori di Pino Daniele) e Lino Cannavaciuolo straordinario violinista partenopeo e autore di innumerevoli colonne sonore per il cinema e la tv.
Candalìa non è solo il titolo dell’album ma un concept che tocca molteplici argomenti che stanno da tempo nel cuore dell’artista calabrese. Si potrebbe sintetizzare in pochi aggettivi l’intero lavoro: i desideri, i sogni, la locride, il sud in rapporto al nord, la sensualità e l’amore. Sono questi temi che Macagnino affronta con la tipica calma degli uomini del sud; rallentando, indugiando e ”candalijando” (che appunto significa cullarsi) questa vita frenetica. Rallentare è una provocazione culturale in questa nostra società, ansiosa di inventarsi di continuo una qualunque attività, perché l’essere umano vale solo quando produce e guadagna. La parola calabrese ‘candalijarsi’ fa al nostro caso: può essere l’occasione per un calmo viaggio dentro se stessi, per lasciare venire a galla sogni impolverati e desideri rinnegati, per inseguire una musica sconosciuta ma familiare.
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