Si fa presto a classificare come post-rock, di questi tempi, qualunque disco strumentale che non preveda il canto e che faccia suonare in prevalenza le chitarre. Si sarebbe tentati dunque di classificare anche i bravissimi Public Service Broadcasting sotto questa categoria, se non fosse che il duo musicale britannico creatosi a Londra intorno a J. Willgoose, (chitarra, banjo, strumenti a corde, campionatori) e a Wrigglesworth (batteria, pianoforte e strumenti elettronici) sembra voler sfuggire giustamente a ogni classificazione.
Con Every Valley, il terzo disco in quattro anni dal loro esordio con Inform-Educate-Entertain, dimostrano ancora una volta di più il loro eclettismo pur rimanendo nel solco del post-rock (e certo non solo perché non c’è la voce) di marca britannica, in particolare devoto alla lezione dei Mogwai, che sono i loro più diretti ispiratori.
La band che nel 2015 è stata annunciata come nominee per la Vanguard breakthrough al quarto Progressive Music Awards, vincendo poi meritatamente il premio, si presenta qui in piena forma, e sembra intenzionata a proseguire anche il suo discorso politico, con una sorta di concept-album dedicato a Ebbw Vale, una comunità di minatori nel Galles che ha subito come tante altre comunità minerarie (appunto Every Valley) la demolizione da parte della lady di ferro Margaret Thatcher, negli anni ’80, per poi essere completamente cancellata anche dalla memoria collettiva.
Un disco impegnato dunque, negli intenti politici, e impegnato anche musicalmente. Il suono è rock, duro quanto basta per i temi trattati, e elaboratissimo e studiato in ogni passaggio, in ogni riff. Si avvale poi nella bellissima Turn No More della collaborazione importante di un vocalist che più impegnato non ce n’è, quel James Dean Bradfield dei Manic Street Preachers che ha fatto del binomio musica-messaggi una ragione di vita artistica. Altre riuscite collaborazioni, che impreziosiscono di voce un disco già bello, sono Lisa Jen Brown in You+Me e They Gave me a Lamp con Haiku Salut, fino a Progress con Tracyanne Campbell.
Il disco è serratissimo e si muove senza distrazioni nel raccontare il suo tema (grazie anche agli interventi vocali parlati): si introduce con Every Valley e The Pit, per entrare nel vivo con People Will Always Need Coal, Progress e Go to the Road, fino all’annuncio del disastro con All Out.
Siamo probabilmente al lavoro più compiuto e ambizioso del duo inglese, come è giusto aspettarsi al terzo album, all’apice della loro evoluzione artistica.
L’album non tradisce le aspettative, anzi, le amplifica: musicalmente, le soluzioni post-rock dei due ragazzi trovano qui la loro riuscita melodica più accattivante, basti sentire gli assoli e i riff di The Pit, o i riff di basso e tastiere di Go to the Road. All Out, giustamente piazzata al centro del disco, è il capolavoro assoluto dell’album e forse una delle cose più belle realizzate fin qui dai PSB.
Tesa, dura, drammatica come i temi trattati, la canzone si fa seguire come suo secondo tempo dal racconto questa volta cantato da James Dean in Turn No More. L’album si prende poi un respiro dal ritmo serrato con You+Me e The Gave Me a Lamp, per concludersi poi più che degnamente con Mother of the Village e Take me Home, lenta e commovente la prima (la voce fuori campo di Mother of the Village dice “abbiamo sempre pensato che saremmo stati qui per sempre”), e corale, epica e traditional nel canto a cappella la seconda.
Un disco completo, prezioso, in sostanza: una dedica complessivamente meravigliosa a un tempo e un luogo che ora non sono più, perché il capitalismo sfrenato e senza regole ha voluto cancellare le tracce di una storia locale secolare.