“Quello che abbiamo fatto è innovativo ma inequivocabilmente Queens”: non c’è migliore definizione di quella data dal co-produttore Mark Rankin, che insieme con Mark Ronson sono gli ideatori del sound di questo Villains con cui i Queens escono da un periodo difficile che li vedeva in silenzio da …Like Clockworks del 2013. Sì perché il disco è decisamente nella scia di …Like Clockworks, o degli esordi di Tower on Sunset e Rated R, ma ha contemporaneamente un suono fresco, nuovo, pulitissimo e tremendamente dinamico. Nei (soli) 9 pezzi del disco non c’è mai una pausa di batteria: si va dal tipico sound garage di Domesticated Animals, The Way You Used to Do o Head Like A Haunted House a canzoni più profonde, intime, molto bowiane, come l’intensa e melodica Fortress o la bellissima Un-Reborn Again, (dove Joshua sembra voler anche scimmiottare in omaggio la voce del duca bianco) e la sensazione è di assaporare lati nuovi, sfumature diverse, della band ma pur sempre di avere saldamente in mano un disco della band che, insieme ai White Stripes, è stata forse l’unica e ultima grande innovatrice del genere, anche perché letteralmente è stata un’autostrada di talenti che vi hanno suonato o collaborato negli anni (Mark Lanegan, Dave Grohl, Nick Olivieri fra gli altri).
Villains è inoltre un’esplorazione introspettiva di se stessi, ben rappresentata dalla copertina del disco realizzata ancora una volta dal loro designer di fiducia Boneface: “Il titolo Villains non è una dichiarazione politica. Non ha niente a che vedere con Trump o nessuna di quelle storie. È semplicemente 1) una parola fantastica e 2) un commento sulle tre versioni di ogni scenario: il tuo, il mio e quello che è successo davvero… Ognuno ha bisogno di qualcosa o qualcuno a cui dar contro, il proprio cattivo. Non puoi controllarlo. L’unica cosa che puoi controllare è quando lo lasci andare”. Così Joshua Homme, leader indiscusso e carismatico della band, nonché chitarrista, autore e vocalist, che insieme con l’attuale frontline costituita da Troy Van Leeuwen (chitarra, tastiere), Michael Shuman (basso), Dean Fertita (tastiere, chitarra), Jon Theodore (batteria) ha dato vita anni fa a quello che doveva essere un progetto one shot e invece è diventata una delle band più note del garage rock di terzo millennio, secondi per fama forse solo ai Foo Fighters (con cui come ben noto spesso si sono incrociati i reciproci destini).
Ne è passata di acqua sotto i ponti dal 2013: dopo il lungo tour, la perdita di memoria, infortuni inspiegabili, un anno in giro con Iggy Pop e poi le nomination ai Grammy, quattro anni sono sufficienti per la dovuta pausa che serve per sfornare un altro capolavoro, su etichetta Matador Records. Sufficienti, per ridefinire il proprio sound mantenendolo però nei confini di quello che è il tratto originale della band: “L’aspetto più importante nel fare questo album è stato ridefinire il nostro suono, domandandoci e rispondendo alla domanda ‘che suono abbiamo adesso?’ Se non fai un ottimo primo album dovresti smettere, ma se lo fai e poi il tuo suono non evolve diventi la parodia di quel suono originale”. E’ ancora Joshua a parlare, chiaramente consapevole del lavoro svolto in questo disco, che in pratica è una evoluzione nella continuità.
Il che significa che la band ha saputo non campare sugli allori (il rischio c’è sempre quando si diventa famosi) ed è ancora in grande fase creativa. Lasciamo ad altri decidere se l’album è ai livelli dei dischi d’esordio, ma certamente non si può negare che le intro di The Way You Used to Do o Head like a Haunted House non hanno niente da invidiare ai loro pezzi più famosi come No One Knows, e saranno hit sicure dal vivo, così come la meravigliosa e potente sessione ritmica di The Evil Has Landed. La vera novità forse è rappresentata appunto da Un-Reborn Again, Fortress, Hideaway, dove il sound chitarristico dei Queens va approfondendosi pur non snaturandosi, accompagnato per l’occasione da preziose rifiniture di tastiera (che in Hideaway non potranno non ricordarvi Ashes to Ashes).
Con la splendida, intensissima, psichedelica Villains of Circumstance si chiude un disco che non vede momenti di pausa, cali di ritmo, di intensità musicale ed emotiva. Nello sfondo del loro dirompente circo sonoro, si intravede nel finale con questo pezzo qualcosa di più dark e malinconico del solito, che ci sta benissimo in un album che vuole esplorare il lato oscuro di se stessi. Ancora una volta una prova potente e coraggiosa da parte di una band che fin qui non ha mai deluso. Imperdibili all’UNIPOL Arena nell’unica data italiana, il 4 novembre.
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autore: Francesco Postiglione