La copertina dell’ultimo lavoro dei Liars è emblematica dell’evoluzione del trio di Brooklyn. L’uomo vestito da sposa, rimasto solo sull’altare, è la proiezione di Angus Andrew rimasto solo alla guida del progetto dopo l’abbandono del polistrumentista Aaron Hemhill, sebbene di comune accordo. Andrew ha deciso di tornare nella sua terra natia, l’Australia, dove ha composto e registrato “TFCF”, acronimo, che sta per Theme from crying fountain. Il lavoro continua sulla scia dei dischi precedenti sviluppando ulteriormente la commistione tra elettronica, pop, acustica e sperimentazioni.
Dopo tanti anni nel sound dei Liars torna la chitarra acustica, sebbene sempre contaminata con sonorità elettroniche sperimentali e improvvisate. La chitarra acustica emerge in particolare nel folk di “The grand delusional”, tanto deviato quanto intimo, mentre in “Starting at zero” Andrew si sposta su sponde no-wave algide e di matrice anglosassone stile Pop Group, ma meno cattive. Nel disco, infatti, si respira un’aria piuttosto nostalgica che esplode nella ballata acustica “No help pamphlet”, brano privo di contributi elettronici, dove prevale la malinconia. Un’aria simile si respira in “Ripe ripe rot” nella quale il greve folk intimo evoca un Micah P. Hinson avvolto su se stesso. Quando il nostro spinge il piede sull’acceleratore, invece, l’elettronica raggiunge le vette dell’incontro tra il David Bowie della metà degli anni ’90 e i Nine Inch Nails (“Coins in my caged fist”). L’umore mai stabile di Andrew emerge anche nella sincopata “Emblems of another sotry”, mentre i tentativi di rasserenarsi sono ben presenti nella mantrica ed eterea “Face to face with my face”. In altre parole un modo per affrontare se stesso.
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autore: Vittorio Lannutti