Alessandro Bresolin nasce quarantatré anni fa a Castelfranco Veneto, dopo l’esordio come saggista – ha curato per Elèuthera un saggio di Camus e per Edizioni Spartaco una raccolta di saggi di Silone – si è dedicato all’attività di traduttore dal francese. Ha tradotto, tra gli altri, Ambizione nel deserto di Albert Cossery e Ammazza un bastardo! di Colonel Durruti. È approdato al romanzo con “Cirrosi apatica” (2008, Ed. Zona). Ha collaborato come freelance con Rai Radio3, Il Manifesto e Carmillaonline e Lo straniero. A gennaio 2013, viene pubblicato per Edizioni Spartaco il suo secondo romanzo, Gesti Convulsi, di cui si è già parlato proprio su Freakout.
Allora Alessandro, negli anni ti sei occupato di Silone e Camus e hai tradotto romanzi di chiara ispirazione anarchica. Quanto ha inciso la vicinanza a questi intellettuali anche nella tua formazione musicale ?
Nella formazione musicale non hanno inciso molto, ma gli autori che ho avuto modo di amare e tradurre mi hanno fatto capire ben altro. Per rimanere a Camus e Silone e al loro esempio, soprattutto che non ci sono barriere nel lavoro di uno scrittore: fare saggi, reportage o romanzi, fa parte di un unico insieme. E che ogni storia, locale è potenzialmente universale. Camus, da Lo Straniero a Il primo uomo, non ha mai smesso di raccontare la società algerina della sua epoca così come Silone per tutta la vita ha raccontato dei suoi cafoni abruzzesi. Storie di vita concreta, al contempo moderne e antiche. Silone sosteneva che ogni autore ha un’origine provinciale ma non accettava un criterio regionalistico nella letteratura, perché le regioni deperiscono, mentre quelli che esprimono qualcosa di valido lo hanno espresso malgrado la loro provincia. In questo senso, diceva, leggiamo Vittorini, Sciascia e Faulkner malgrado il fatto che fossero siciliani o del Mississippi.
Il mondo dell’editoria sta attraversando una fase di crisi e di transizione. Per rendere la musicalità e il ritmo di un testo, quanto è importante rivolgersi a traduttori preparati pur tenendo conto delle nuove esigenze del mercato?
Ci sono fenomeni contrastanti, un fatto positivo è che le tecnologie hanno scardinato certi meccanismi editoriali, certe rendite di posizione della grande industria. Ma è vero che ormai la comunicazione è esplosa e viviamo in un’epoca di inflazione verbale, visiva, c’é un eccesso di tutto.
Riguardo al tradurre, sì, rendere un testo credo voglia dire tener conto della musicalità e del ritmo, perché il lettore ha il diritto di arrivare alla fine del libro scivolandoci sopra. Avvalersi di gente valida e preparata dovrebbe essere alla base di ogni progetto solido. Non conosco quali siano le nuove esigenze del mercato, ma so che sono volubili, variano di stagione in stagione.
Che rapporto c’è, secondo te, tra musica e scrittura?
La prima cosa che mi fa venire in mente questa domanda è che a scuola il prof di filosofia ci spiegava Bergson e il suo senso del tempo facendoci ascoltare La Mer di Debussy.
I Gesti Convulsi sono un gruppo punk-new wave. Interessante utilizzare una band come pretesto narrativo. Perché proprio degli anni ’80?
Sono cresciuto in quel contesto, nulla di più, ero adolescente e ho vissuto tutta l’irrequietezza di quegli anni. Ma non avevo alcuna intenzione di scrivere sugli anni ottanta, fare del revival sul com’eravamo. Nessuna foto d’epoca, ma un libro di storie di ordinario disagio, per cercare di capire cos’é andato dritto e cos’é andato storto nella vita. Il pretesto della band, di un collettivo, mi è servito per scrivere un racconto il più corale possibile, che potesse in qualche modo disegnare il ritratto di una società, di una mentalità.
Quando hai creato i Gesti Convulsi, ti sei ispirato ad una band in particolare?
A dire il vero no, ero più concentrato su altri aspetti che riguardavano le singole storie in sé.
In ogni capitolo del libro ci parli di un membro dei Gesti Convulsi. In base alla personalità da te delineata, quale potrebbe essere il ruolo di ognuno all’interno del gruppo?
Denis al basso; Cristian chitarra e voce; Gianni alle tastiere; Federico chitarra e voce; Ilario alla batteria.
E, per concludere, una domanda inevitabile: quali sono i tre album dai quali non riusciresti a separarti e cosa ascolti in questo preciso momento?
Sandinista dei Clash; Artifakts di Plastikman; tutto De André. Non seguo un genere specifico, non l’ho mai fatto, ascolto un po’ di tutto, tranne il nazi rock.
Bene, l’intervista finisce qui. Abbiamo chiesto ad Alessandro di scrivere una playlist di dodici brani per Freakout, tracciando un percorso personale che faccia da colonna sonora al suo romanzo. Eccola.
– A forest, The Cure
– Everythings counts, Depeche Mode
– Rain, The Cult
– Idiots rule, Jane’s Addiction
– Come as you are, Nirvana
– Police and thievs, The Clash
– Mierda de ciudad, Kortatu
– Amminramp, Ustmamò
– Infected, The The
– Loaded, Primal Scream
-Are friends electrik?, Plastikman
– Trinity, Bandulu