Amury Cambuzat è ormai il deus ex machina del gruppo francese. Quest’ultimo disco a nome Ulan Bator, infatti, è stato interamente pensato, scritto, suonato e registrato da Cambuzat. “Stereolith” porta i francesi verso sonorità sempre più sperimentali, rendendoli difficilmente etichettabili, quando un tempo bastava definirli post-rock.
Senz’altro in questo lavoro sono presenti echi delle collaborazioni passate con i Faust e Michael Gira (Swans), ma Cambuzat è riuscito a rielaborarle a modo suo “dilettandosi” a dare ad ogni brano una precisa connotazione, in modo che si distinguesse da tutti gli altri. L’intro forte dell’iniziale “On fire” ci introduce a sonorità a cavallo tra i noises, campane e psichedelia.
La title-track deve molto alla new wave e alla no wave dei primi anni ’80 che è un mood che si ripresenta anche in “NeuNeu”, ma sono suoni che si fondono con le esigenze post rock allargando e restrigendo il sound della band. Quando poi Cambuzat si lascia andare alla psichedelica più accesa produce un brano come “Ego trip”, talmente sperimentale da non avere una meta. Questi commenti giusto per rendere più esplicita l’incipit di questa recensione non facile.
http://www.ulanbator.biz/
https://www.facebook.com/ulanbatorofficial
autore: Vittorio Lannutti