Il campo della musica pop-rock, inteso nel senso più ampio possibile, è uno degli ambiti artistici in cui è maggiormente difficile invecchiare bene. Vuoi per ristrettezze tecniche (molti dei nostri “eroi” fanno delle proprie limitatezze un punto di forza, un fattore determinante sul lungo periodo), paura di rischiare o di allontanarsi troppo dalle rispettive nicchie di riferimento, risulta complicato che una lunga carriera sia capace di mantenersi su alti livelli col passare del tempo.
Non un dato univoco, ovviamente, ma non credo di andare molto lontano dalla realtà… Tale premessa era doverosa, in quanto anche nel caso di Mark Lanegan di acqua sotto i ponti ne è passata abbastanza. Oltretutto, a parte una copiosa discografia solistica, il nostro, negli ultimi anni, si è dedicato voracemente a collaborazioni esterne, facendo forse perdere un pizzico di fascino alla sua inimitabile voce.
Cosa aspettarsi, quindi, dal nuovo album? Continuando sul solco del recente passato, Lanegan con Gargoyle ha voluto riaffermare una certa predisposizione verso la new-wave ed il rock dalle venature elettroniche. Un mix ben ponderato su brani, quali Death’s Head Tattoo, Old Swan, Blue Blue Sea ed i singoli Nocturne e Beehive.
Altrove, vedi Sister e Goodbye To Beauty, emerge il lato “vintage” del disco, che rimanda ai primi lavori del songwriter americano. Pochi i passaggi a vuoto (Drunk On Destruction), indici di una discreta tenuta d’insieme.
Dovendo tirare le somme, al netto di alcuni tratti tipici del buon Mark, come il suo ieratico modo di cantare ed una certa ristrettezza a livello di tematiche trattate, Gargoyle non delude le attese, grazie pure agli interventi del nuovo “complice” Rob Marshall, senza dimenticare l’aiuto delle vecchie conoscenze Alain Johannes, Josh Homme (QOTSA), Greg Dulli (Afghan Whigs, Twilight Singers) e Duke Garwood.
Ad ogni modo, pretendere ancor di più da chi ne ha le capacità, mi sembrerebbe il minimo.
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Autore: LucaMauro Assante