La fine dei vent’anni (Sugar), primo album da solista di Francesco Motta, già fondatore dei Criminal Jokers, ha raccolto consensi fin dall’esordio, ormai un anno fa, aggiudicandosi la Targa Tenco per la miglior Opera Prima e Motta il premio PIMI SPECIALE 2016 del MEI, come “artista indipendente italiano nel complesso più rilevante per l’attività svolta nella stagione discografica 2015/2016”.
A quindici giorni dalla fine del tour (1 aprile, Milano, Alcatraz) fa tappa nella capitale con una doppia data che presto diventa sold out. È molto atteso dal pubblico romano e ha anche il pregio di arricchisce la scena cantautorale italiana (da Dente a Brunori Sas, a Calcutta e i The Giornalisti) che si fa largo e si consolida nei gusti del pubblico e nelle classifiche e che risulta difficile da codificare. Motta piace, dicono, perché è cupo ed energico, perché ha indovinato la chiave interpretativa. Sembra che Motta piaccia perché è semplice e diretto, perché dimostra autenticità e coerenza che si trasformano in un solido patto con il pubblico. Se quindi il racconto del suo live volesse cercare una logica narrativa, direi che accontenta subito il suo pubblico, che lo aspetta da un’ora, con i tre pezzi più noti, più energici, più aggressivi, più rassegnati, e li fa urlare su: “Se continuiamo a correre”, “Del tempo che passa la felicità” – brano in cui mi pare più evidente l’influenza di Riccardo Sinigallia (suo produttore artistico) e “Prima o poi ci passerà”.
Superata la necessità di sfogarsi, di essere cattivi, di abbracciare il fallimento quando ci finiamo dentro, si dedica all’amore e alla bellezza con “Mio padre era un comunista”, “Una maternità” e “Sei bella davvero”. Anche se la musica suggerisce un livello di distorsione che non coincide con il testo, la dolcezza prevale, ci avvolge. Mentre suona “Sei bella davvero” si avverte ed è collettiva, come un fugace inno alla bellezza che contiene la voglia di togliersi le scarpe e mettersi a ballare. La bellezza che poi, tutto sommato, ci salverà quando sarà passato tutto il resto.
Tra un pezzo e l’altro Francesco dialoga, si racconta, senza uscire mai dal personaggio –o forse senza esserci mai entrato- e ci racconta che l’energia è importante, che l’entusiasmo è fondamentale, che bisogna saltare sul palco, che non bisogna mollare, che probabilmente come è successo a lui bisogna starci, sul palco, per dieci anni con pochi adorati fedelissimi prima di ritrovarsi invece date consecutive e sold out. Che non bisogna chiedersi se è giusto o sbagliato fare i debiti per essere musicisti o comunque per inseguire i propri sogni. E su questo fuga ogni dubbio: “fate i mutui e i debiti per comprare gli strumenti, non temete”.
I tre brani successivi sono un elogio di quei dieci anni in compagnia dei Criminal Jokers, con “Fango” e “Cambio la faccia”, intervallato da quel pezzo che ha segnato la svolta, “La fine dei vent’anni”.
Il bis, immancabile, è proprio dedicato alla serata, alle persone che sono lì, con “Roma stasera”, ai trentenni e al presente con “Abbiamo vinto un’altra guerra” e “Prenditi quello che vuoi”. Chiude il live un po’ accelerando con il freno a mano tirato, ci racconta che quelli come lui vivono l’eterno e avvincente contrasto tra quello che vogliono conquistare e quello a cui realmente aspirano, sono un po’ convinti e un po’ sbadati, un po’ frettolosamente attratti da altre guerre da combattere. Desiderano, conquistano e dimenticano. E noi ci crediamo, perché “prenditi quello che vuoi, poi lo dimenticherai”, così come “passerà” ce li ripete come un mantra, monotòno, che resta impresso.
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autrice: Serena Ferraiolo