E’ uscito il 1 Marzo Entroterra, il primo album dei Minerva, band indie rock dell’hinterland bergamasco. Piuttosto conosciuti nel territorio della provincia, i Minerva tuttavia hanno un sound che punta a una platea nazionale: puliti, eleganti, raffinati negli arpeggi e nei riff, sufficientemente pop per non essere troppo di nicchia, il loro rock non è mai estremo né eccessivo né duro, e quindi può piacere senza far storcere la bocca.
Contribuisce poi senza dubbio alla gradevolezza complessiva del sound la splendida ed eclettica voce di Serena Caponera, coadiuvata dalla sicura mano di chitarra di Lorenzo Fustinoni, mentre alla sessione ritmica il basso di Stefano Bellotti, la chitarra ritmica di Davide Vilesi e la batteria di Davide Vignani rappresentano un porto sicuro e solido di approdo per assoli e virtuosismi dei due leader alla voce e alla chitarra.
L’Entroterra del titolo, per esplicita ammissione della band, è peraltro piuttosto musicale e mentale che non geografico. Scorre fra i pezzi in sottofondo il tema del viaggio (esplicito in Carrozza 3, splendida ballata semiacustica) e del ritorno, e delle suggestioni e delle sensazioni che il ritorno dà dopo il cambiamento costituito dal viaggio.
Il viaggio è mentale, dicevamo: riverberi, delay e altre raffinatezze sposano i testi scritti in italiano senza punteggiatura e con la tecnica del flusso di coscienza, e con i dovuti voli pindarici che il flusso di coscienza inevitabilmente propone. A volte i testi, fortemente espressionistici, sono troppo criptici, ma è bellissima la linea diretta, poco letteraria e vanitosa, con cui Serena racconta di sé e delle sue sensazioni (come nella dolce e romantica Rebus: “memorabile giorno di merda in cui mi rendo conto che va tutto a gonfie vele, e in cui mi rendo conto che cado nelle pozzanghere se penso a te”).
Musicalmente, è degno di nota l’alternarsi di scale maggiori e minori e tempi pari e dispari, marchio di fabbrica di un gruppo che cerca di staccarsi dai soliti 4/4 e dai soliti giri di accordi. Basta notare il triplice o più cambiamento di dinamica nel brevissimo pezzo introduttivo Via 20, che è già di per sé un esempio (non lezioso, per fortuna) di virtuosismo.
Il gruppo sembra dare il meglio di sé quando il racconto della cantante si fa molto intimo, e quindi soffuso, e la musica sembra seguirla, le chitarre perdono la distorsione e si appianano e predominano le acustiche, e il suono si fa dolce senza rinunciare all’impostazione rock: ne sono esempi Carrozza 3, Molecola, Brem-Bow, Rebus, Veronica.
Oppure, all’opposto, nei momenti più esplicitamente rock, come Aliasing, Amaro, Amanite (il primo singolo pubblicato a gennaio, con il quale entrano anche nella classifica nazionale MEI dei migliori singoli), come nella significativa e notevole title track Entroterra, o tra i toni sorprendentemente oscuri e dark di Faso-Bisfaso (ed è una bella sorpresa), il cui arpeggio iniziale non potrà non evocarvi atmosfere degne dei Radiohead di Fade out.
E’ in fondo una bella alternanza quella che la sequenza dei 12 brani suggerisce (con la variazione intrigante dello swing rock di America), e l’ascolto va approfondito a più di una volta per cogliere tutte le sfumature del ricco ed elegante arrangiamento (complice certo il produttore Marco Ghezzi, già membro validissimi Sakee Sed).
Se la band sa mantenere la stessa pulizia e la stessa verve e grinta canora nelle esibizioni dal vivo, allora abbiamo in Italia forse qualcosa da contrapporre al trionfo commerciale delle scimmie che ballano.
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autore: Francesco Postiglione