Paradossale, grottesco, esagerato, barocco. Tutto tutto niente niente, ultima performance di Antonio Albanese diretta da Giulio Manfredonia (l’ennesima di una serie di prove cinematografiche che hanno visto i due lavorare insieme, Qualunquemente, Si può fare, E’ già ieri, Se fossi in te), è un polpettone indigesto, un’embolia mortale, un vuoto chiacchiericcio che altro non fa che contribuire ad alimentare e saziare il già diffuso sentimento antipolitico tipicamente italico.
Ruberie, cafonerie, razzismo, bagasciate, fanno da contraltare a perbenismo, eccessiva religiosità, frigida rettitudine, il tutto scortato da immancabili ori, cotonature, droga e puttane in ogni salsa e di tutti colori.
Si ricreda chi si aspetta almeno di farsi grasse risate. Si ride poco in Tutto tutto niente niente. Anzi, si ride proprio per niente. Certo Albanese si conferma il grande e poliedrico interprete che è, ed è supportato da un’illuminata Lunetta Savino oltre che da un abbagliante Fabrizio Bentivoglio. Ma non bastano buoni o bravi interpreti per fare un buon film. E neanche le buone intenzioni. Una scrittura sciocca, uno script banale e vuoto d’idee fanno di quello che nei fatti è il sequel di Qualunquemente, un prodotto indigesto, buono, tuttalpiù, per i tritarifiuti.
L’ascesa di Cetto La Qualunque e di due sue omologhi (il pugliese Frengo Stoppato, strafattissimo individuo dalle fattezze new age perseguitato da una madre cattolica ortodossa e bigotta e il veneto Rodolfo Favaretto, un leghista, secessionista, fascistoide, trafficante di immigrati e alla fine pure cornuto) nell’agone politico corrisponde alla discesa dello spettatore nella melma della rappresentazione più becera e superficiale della classe politica italiana e delle sue dinamiche, attività, missioni.
Il film, record di incassi nella settimana precedente al Natale, è stato da più parti osannato. C’è chi (vedi Simone Emiliani su Sentieri Selvaggi) ha parlato di fantascienza politica, di deriva felliniana e ha paragonato il duo Albanese- Manfredonia all’accoppiata Mastrocinque- Totò. Ma basta un’ambientazione barocca, esagerata da corpi, particolari e ornamenti eccessivi a rendere un’atmosfera onirica e felliniana?
Basta la seppur indiscutibile bravura di un ottimo interprete e il lavoro magistrale di regista e maestranze per far tornare alla mente addirittura Totò? E bastano acconciature posticce e forme geometriche e tonalità siderali unite a la costruzione di scenari politici neanche troppo lontani dalla realtà per parlare di fantascienza e per di più, politica?
Il film distribuito, in oltre 700 copie, ha totalizzato oltre 8milioni di euro di incasso. E questa è comunque una buona notizia per il boccheggiante stato della nostra industria cinematografica. La pellicola la farà (presumibilmente) da padrone nei circuiti dei cineforum estivi, nel canale di distribuzione degli home video e dei dvd e a pieno titolo entrerà nella programmazione prima delle tv satellitari e digitali a pagamento e poi della tv generalista. Eppure, nonostante il grande sforzo distributivo e la massiccia diffusione che ne deriverà, resterà un film mediocre, sorretto da una scrittura posticcia e senza idee, creato apposta per un pubblico addomesticato al superficiale, allo sciatto, al banale.
autore: Michela Aprea