Bestiario Musicale di Lucio Corsi è un lavoro onirico, formato da otto racconti in musica che vedono protagonisti otto diversi animali tipici dei boschi della Maremma e in generale della nostra penisola, che sopravvivono come possono allo scempio ambientale dell’uomo ma ancor più alla rimozione che nella società moderna abbiamo fatto del concetto di sacro, e quindi del carattere simbolico che questi animali, un tempo adorati, temuti, attesi, comunque rispettati, anno avuto per l’uomo come medium con la natura, il destino, la morte, la divinità. Cose rimosse, relegate a sciocche credenze malgrado risposte vere, su questi temi, non ne abbiamo ancora.
La forma musicale scelta da Lucio Corsi è asciutta, acustica, malgrado all’ascolto più attento emergano arrangiamenti ben studiati; in alcuni casi – prima di tutto ‘La Civetta‘, che porta male e non conviene seguirla nel bosco di notte, o ‘L’Upupa‘, medium tra il mondo dei vivi e quello dei morti e ‘La Lucertola‘, che scende a patti con l’uomo riuscendo a coabitargli in casa, addirittura – i racconti hanno un carattere notturno come la copertina del disco, malgrado l’andamento sempre canticchiato, mentre gli animali sono sicuramente figure antropomorfe – il movimento punk della foresta in ‘L’Upupa’, o ‘La Lepre’ che arriva sulla Luna, forse un riferimento alla credenza indiana e alla canzone di Angelo Branduardi – ma non spaventose come quelle di Vinicio Capossela né innocue e rassicuranti come i pupazzetti vestiti e imborghesiti d’epoca vittoriana, o dei cartoni animati americani.
In questo nuovo disco vediamo un salto di qualità nella musica di Lucio Corsi rispetto ai due EP degli anni passati, che lasciavano intuirne il talento in una forma naif magari però un po’ disordinata; e intanto Baustelle e Brunori Sas se lo porteranno entrambi in tournèe, in Primavera, dove potrà aprirne i concerti presentando il suo Bestiario Familiare a platee importanti.
In ‘L’Istrice’ e ‘La Lucertola’ emerge la sottile nostalgia per il mondo che fu, in cui ci si rapportava agli animali del bosco con rispetto, e magari con rispetto anche alle persone, mentre nell’entusiastico inno intitolato ‘Il Lupo’ ritroviamo il mito rassicurante della madre che protegge il cucciolo, mentre ‘Il Cighiale’ sfreccia per il bosco come un’apparizione, inarrestabile e fatale.
Malgrado nel cantautorato del musicista toscano non vi sia traccia evidente di influenze anglofone, ci intriga associare in qualche modo questo strabiliante lavoro di Lucio Corsi ai dischi più onirici e simbolisti di Sufjan Stevens, Devendra Banhart o Matt Elliott, soprattutto per sensibilità, interesse simbolico e carattere onirico.
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autore: Fausto Turi