Con una formazione piuttosto inusuale: due batterie a un synth, i Barberos, da Liverpool, portano avanti un intrigante ed interessantissimo incrocio tra jazz-core, math, noise, tribal e prog. Apprezzatissimi nei circuiti indie hanno condiviso il palco con gruppi del calibro di Melt Banana, Tim Exile, Liars, Dalek e molti altri.
Percussivi e circolari nei loro brani spaziano dal prog spezzettato e jazzcore di “The return of the Ladius” al p-funk electro di “The Ladius”. Le voci, effettate, quando sono presenti, svolgono prevalentemente la funzione di cori in sostegno alla musica. Non mancano momenti psichedelici, ma del tutto impuri, sia in chiave psicotica (“Hoy!”), sia nell’orgia electro di “Obladden” dove convivono conturbanti elementi sia di noise che di jazz perverso.
Martellante ed insistente risulta il quasi math di “Akropolis”, apparentemente serena in realtà molto inquietante. In sostanza si tratta di quarantacinque minuti di puro delirio incostante, vibrante, mai domo e per questo estremamente eccitante.
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autore: Vittorio Lannutti