Ascoltare ‘Mother Sky’ è sempre una bella esperienza; finisce, ma è capace che nonostante i suoi abbondanti quattordici minuti, venga la voglia di rimetterla da capo.
La traccia è compresa in “Soundtracks” (1970) dei CAN, uno dei meno noti “non-album” del quintetto di Colonia; precisamente trattasi di una raccolta di colonne sonore, ‘Mother Sky’ è infatti compresa tra le musiche del film “Deep End“, del regista polacco Jerzy Skolimowski.
‘Mother Sky’ è certamente uno dei pezzi più rappresentativi del credo euforico dell’ensemble tedesco, ci sono tutte le componenti che l’hanno resa una band unica nella storia della musica. Nella traccia c’è spazio – come sempre – per tutti e cinque i Can. Avverti o riconosci il tocco di ciascuno nel proprio ruolo: le trame intrecciate dell’organo di Irmin Schmidt, il grande Holger Czukay che trae energia dai suoi baffi, le chitarre taglienti di Machael Karoli e Damo che avverte: “I say madness is too pure like mother sky“…
Ma passati i due minuti e mezzo dall’inizio dell’esecuzione, Jaki Liebezeit sale sul serio a bordo di un Ariane 5 e riceve direttamente da Zeus, dio del tuono, parte del suo potere divino…non è possibile, ad esempio, ascoltare ‘Mother Sky’ seduti o distesi…è un delirio percussivo e tribale come niente altro…
Quando venne pubblicato “Monster Movie” nel 1969, Jaki aveva già trentuno anni. La “leggenda” vuole che Liebezeit – che aveva vissuto per qualche tempo in Spagna e dove si era indirizzato verso il free-jazz – fu segnato dalle parole di quello che definì una sorta di fricchettone probabilmente sotto effetto LSD e che avrebbe sbeffeggiato il percussionista nel suonare complessi e articolati pattern di batteria, invitandolo a essere più “monotono”.
Jaki Liebezeit cominciò a meditare sul valore positivo della parola “monotono” facendone successivamente una bandiera o quanto meno un principio da applicare…
Con la medesima concezione si unì al neonato ensemble Inner Space, formato inizialmente da un insegnante di musica, Holger Czukay, un suo allievo, Michael Karoli oltre ad un esperto musicista, direttore d’orchestra e che aveva studiato con Karl-Heinz Stockhausen (così come Czukay) e che inoltre aveva seguito anche i famosi corsi di Neue Musik a Darmstadt, ossia Irmin Schmidt.
Il nome fu mutato successivamente in THE CAN dal cantante afro-americano Malcom Mooney, scultore e insegnante, che fu “scoperto” dalla moglie di Schmidt e che in verità non aveva mai cantato prima…
Di recente era stata annunciata a Londra una performance al Barbican che avrebbe visto insieme 3/5 dei Can suonare sullo stesso palco: Irmin Schmidt, Malcom Mooney e Jaki Liebezeit insieme a Thurston Moore in The Can Project, non una vera e propria ‘reunion’, visto che non c’è mai stata una separazione ‘professionale’ da parte del collettivo, però sarebbe stato sicuramente emozionante rivederli insieme – QUI – per leggere l’articolo.
Tra le collaborazioni più durature di Liebezeit c’è quella intergenerazionale con Burnt Friedman, fondatore della Nonplace insieme a Oke Goettlich, label per il quale sono stati pubblicati tra il 2002 e il 2013 ben cinque album intitolati tutti “Secret Rhythms” in numerazione progressiva.
Il percussionista ha partecipato ai primi album post Neu! e post Harmonia di Michael Rother: la trilogia “Flammende Herzen” (1977), “Sterntaler” (1978) e “Katzenmusik” (1979) e il successivo “Fernwaerme” (1982).
Tra il 1980 e 1981 l’etichetta di Amburgo Sky Records – fondata nel 1975 da Günter Körber, proveniente dalle esperienze con la Metronome Musik e la Brain Records che condivideva insieme a Bruno Wendel – pubblicò due album della Phantom Band, ensemble formato da Liebezeit insieme a Dominik Von Senger, Helmut Zerlett, Olek Gelba, Rosko Gee, Sheldon Ancel. Gli album “Phantom Band” e “Freedom of Speech” sono stati ristampati di recente dalla Bureau B.
Nel 1981 insieme a Holger Czukay e Jah Wobble viene pubblicato il bizzaro “Full Circle” che contiene la divertente hit ‘How Much are They?’ Il batterista di Dresda collaborerà ancora con il bassista dei P.I.L. e insieme a Philip Jeck nel 2004 in “Live in Leuven” uscito sull’etichetta del bassista britannico, la 30 Hertz Records.
Sempre nel 1981 Jaki partecipava insieme a Holger Czukay e Connie Plank alla realizzazione dell’album “Phew” della cantante giapponese Phew.
Liebezeit in effetti è presente in molti progetti e collaborazioni, anche perché sempre attivissimo e sempre attualissimo, davvero difficile elencarle tutte…
Nel 1997 ha partecipato insieme al combo formato da Pascal Comelade, Pierre Bastien, Jac Berrocal, all’album jazz “The Oblique Sessions“.
Nel 2010, dopo una performance al Klangbad Festival dell’omonima etichetta dell’organista dei Faust, Hans Joachim Irmler, viene pubblicato “Spielwiese Zwei” a nome B.I.L.L., acronimo tratto dai nomi Clive Bell , Hans Joachim Irmler, Jaki Liebezeit e Robert Lippok.
Nel febbraio 2012 la Mute Records, insieme alla Spoon Records della moglie di Irmin, Hildegard Schmidt, annunciava l’EP della superband Cyclopean, un incrocio di collaborazioni comprendente l’organista Irmin Schmidt & Kumo insieme a Jaki Liebezeit & Burnt Friedman.
Nel 2014 sempre attraverso la Klangbad di Hans Joachim Irmler esce il brillante album organo e percussioni intitolato “Flut“.
Tra i progetti più recenti, vediamo a inizio 2015 la collaborazione con il percussionista Holger Mertin nel disco intitolato “Akşak” edito dalla Staubgold Records.
Infine abbiamo un recentissimo album “I Still Have This Dream” insieme al song-writer inglese Robert Coyne, con il quale aveva già prodotto “The Obscure Department” nel 2013 e “Golden Arc” nel 2014.
Jaki aveva la fama di essere più preciso di una macchina, anzi, gli altri componenti dei Can usavano dire di lui: “he is half man / half machine”…
Il grande percussionista è scomparso il 22 gennaio 2017 a causa di una polmonite.
Autore: Luigi Ferrara