Dai boschi del Wisconsin alle foreste di distorsioni, da un rapporto simbiotico con la natura incontaminata ad un’espressione criptica fatta di simboli umani digitalizzati, qualche accademico potrebbe persino dire da Thoreau del Walden al Cassirer della Filosofia delle forme simboliche. La metamorfosi di Bon Iver ha destato scalpore, spiazzato la critica, ma certamente affascinato persino chi non conosceva ancora il progetto di Justin Vernon. Questa recensione non vuole raccontare il presente di Bon Iver in rapporto al suo passato, anche perchè se n’è scritto fin troppo, ma leggere “22, a Million” da una prospettiva differente, quella del futuro.
Bruce Hornsby descrisse in passato Vernon come “a soul singer who creates these unique and beautiful sonic landscapes on which to perform“, e probabilmente non sbagliava. Piuttosto è stato il pubblico e la critica ad illudersi che Bon Iver fosse un songwriter, un paroliere romantico, mentre lui era tutt’altro, più vicino all’idea del compositore che del cantautore. Ma si tratta di un compositore pop, immerso nella cultura popolare al punto da collaborare da un lato con Kanye West e dall’altro con James Blake, capace di leggere il presente e creare suoni davvero nuovi, ma che non siano incomprensibili al pubblico, semplicemente criptici al punto giusto.
Quando il loop iniziale di “22, Over Soon” comincia e Vernon esordisce quasi sussurrando “Where you gonna look for confirmation?” sembra stia prendendo in giro l’ascoltatore, come a dire “Dove stai guardando? Sì il mio sound adesso fa così”. Se il primo brano è l’ultimo trait d’union con il passato, le percussioni distorte di “10 (Death Breast)” rompono definitivamente ogni legame, e Vernon ci tiene a precisarlo innalzando i toni con quel neologismo “Fuckfied”. Poi si getta persino nel confronto sonoro tra Dio e l’Anticristo, “33 (God)” e “666 t” si interrogano di teologia cristiana dal punto di vista di un Taoismo fatto di dicotomie e paradossi del duale (tanto amato da Vernon), in cui persino un brano che titola il numero della bestia non grida o scalpita e una canzone chiamata Dio non ha cori angelici. Poi ci sono le astrazioni sonore, quelle progressivamente invadenti che emergono da “21 MOON WATER“, le voci effettate di “715 – CREEKS” e quella chiusura che accompagnata da un piano intona “I’ve been to that grove/ Where no matter the source is/ And I walked it off: how long I’d last/ Sore-ring to cope, whole band on the canyon/ ‘When the days have no numbers’/ Well it harms it harms me it harms, I’ll let it in”, che è a metà tra una sintesi autobiografica e una sonorità che vuole ricongiungersi al principio del disco, chiudendo il cerchio del dualismo, in cui un risveglio è anche un giacere (come recita il verso finale di “22, Over Soon”).
Simboli antichi, rimandi teologici, una voce angelica e limpida, ma al contempo simboli informatici, interferenze e distorsioni digitali, effetti fino a sfiorare la cacofonia; “22, a Million” esprime in maniera plateale la convergenza defintiva tra natura e artificio umano, tra purezza dell’innato e complessità della macchina, che in fin dei conti non possono lottare perchè abitano lo stesso mondo, ma solo diventare un tutt’uno. Lo aveva intuito oltre sessant’anni orsono Stockhausen con “Gesang Der J¸nglinge”, che l’elettronica non esclude la cacofonia che a sua volta non esclude la voce, solo che Bon Iver ha fatto un passo che prima o poi nella musica pop sarebbe stato fatto, ha portato Stockhausen alle masse. Le idee di mezzo secolo di musica contemporanea cominciano a defluire nella musica per il popolo, non sono suoni puri e astrazioni matematiche, ma ne sono il prodotto secolarizzato. Ricongiungendosi al titolo della recensione, Bon Iver in questo suo terzo album si è fatto espressione dello spirito del tempo, è il migliore dei futuri della musica che potevamo attenderci, non è esente da difetti (nonostante la sperimentazione libera, molti degli approcci elettronici e compositivi non sono così originali), ma è coerente con il progredire delle sonorità pop dalla melodia alla sua frammentazione. Ha metabolizzato l’avanguardia, l’elettronica e il cantautorato e lo ha espresso senza ometterne le imperfezioni, anche perchè se fosse stata la sintesi perfetta non sarebbe stata umana.
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autore: Gabriele Senatore