Nel loro quinto album i norvegesi Moe, rendono il loro sound più tirato. Si tratta di una tensione che unisce e allo stesso tempo separa il punk e certo post-metal anni ’90, tuttavia attinge a piene mani da entrambi i generi, passando anche per il grunge più legato ai Black Sabbath. I brani sono tutti complessi e strutturati. La piacevole ambiguità che emanano è quella di essere brani tanto improvvisati, quanto molto ragionati. È questo il valore aggiunto di un disco nel quale il trio ha preferito far emergere maggiormente rispetto ai lavori precedenti la voce di Guro Skumsnes Moe.
I sei brani sono tutti molto densi, non solo per la durata; che va da un minimo di tre minuti e venti ad un massimo di otto minuti, ma anche per la complessità che ognuno di essi racchiude. Se “Realm of refuge” parte da un post punk in salsa Sonic Youth, per approdare ad una tensione sospesa tra post metal e grunge, in “Saccades and fixations” il livello di frustrazione e aggressività è la stessa che ci hanno vomitato per anni Shellac e Jesus Lizard. Con “Paris” il trio tira dritto senza fronzoli ed in modo convulso e circolare, mentre con “Wild horses” la tensione raggiunge l’apice, a causa dei continui avanti e indietro, con il basso che trattiene il sound. Frenetica è “Doll’s eyes” e con la conclusiva “Letters of pliny” il trio si concede a otto minuti di metal impuro. Da sottolineare l’ottimo lavoro svolto in consolle da Jørgen Træen, già Jaga Jazzist.
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autore: Vittorio Lannutti