Capelli in aria e piedi saldamente appoggiati sulle nuvole, Dente non è uno che si annoia. Gli ho telefonato qualche pomeriggio fa nel mezzo di un ritorno a casa da un’intervista in uno studio televisivo, e quando l’ ho richiamato era alle prese con un’intervista via mail. In un Inception di interviste, la disponibilità, i modi accomodanti e una misurata vivacità hanno cancellato l’immagine che me ne ero fatta: di uno che sta al mondo, paziente e disincantato, come Paolo Conte in un brutto tinello marròn. Sempre autoironico, il modo in cui si muove nei concerti o nelle interviste, apparentemente svogliato e scanzonato per difesa, tanto pacato, si rivela un’esigenza di calibrare energie e dosare garbo: pura sopravvivenza al turbinare di impegni, partitura necessaria per ritmi allegri ma non troppo. Abbiamo parlato del suo nuovo album, “Canzoni per metà”, che lo vedrà per un bel pezzo a girare lo stivale in lungo e in largo. Un disco con velleità di essere brutto, “volutamente brutto, sì, ma solo perché uno bello non lo so fare”. E’ venuto fuori il racconto di esegesi dentesche, canzoni involontarie e ricerca del lato chiaro delle cose, di letture in movimento e una band composta, “ma che non si annoia”.
Nelle interviste rilasciate per l’uscita di “Canzoni per metà” hai spiegato che il titolo ne riassume indirizzo e sostanza. Sono canzoni per metà: destinate e ispirate dalle tue metà, le tue donne del passato; ma sono per metà anche nel senso che a un ascolto poco attento possono sembrare incomplete. Cosa ti fa pensare che possano apparire così?
Alcune di queste canzoni, non tutte ovviamente, non seguono i canoni standard della canzone ritenuta appunto “in forma canzone” e anche “radiofonicamente standard”: strofa ritornello strofa ritornello, bridge o ponte ritornello. Alcune sono molto brevi, altre superano i tre-quattro minuti. In alcune non c’è il ritornello ma soltanto le strofe, in altre solo il ritornello, senza strofe. Sono canzoni un po’ particolari, che possono sembrare incompiute, ma per me invece sono compiutissime. Quello che volevo dire sta tutto dentro quelle canzoni, non ho lasciato a metà un discorso, l’ho semplicemente chiuso lì dove dovevo chiuderlo per me.
Appino dei Zen Circus ti ha affiancato per la registrazione, ma per il resto hai fatto tutto da solo. Come mai questa scelta?
La scelta è stata fatta perché questo disco doveva essere registrato in casa, nella mia idea iniziale. Quindi registrarlo anche male. Con le cose che ho in casa, “alla vecchia”, con pochi mezzi tecnici. E ovviamente, stando in casa, suonandolo tutto io. Quando poi ho capito che era una cattiva idea e l’ho cambiata, abbiam deciso di andare in studio, ma ho mantenuto l’idea di suonare tutto io. Quindi ho fatto questa follia, anche perché poi in studio avevo tanti strumenti con cui giocare, non solo le cose che ho in casa. E’ stato più faticoso, ma anche molto più divertente.
Il fatto che tu abbia rinunciato a registrare l’album a casa, “alla vecchia”, vuol dire che il confronto col te stesso degli album precedenti ti impone scelte che sacrificano la spontaneità?
No, assolutamente. Anche questa è stata una scelta spontanea. Ovviamente non mi piace tornare indietro, perché mi piace fare sempre qualcosa di nuovo, di diverso: tanto da quello che ho fatto appena prima, quanto da quello che ho fatto dieci anni fa. Sarebbe stato brutto riproporre qualcosa di uguale a quanto già fatto in precedenza. Sarebbe stata, quella sì, una scelta molto innaturale, una cosa molto poco spontanea. Un’ imitazione di quello che ero dieci anni fa, mentre questo disco non è un’imitazione di quello che ero dieci anni fa, ma sono io dieci anni dopo: come sono cambiato, se poco o tanto non lo so. Comunque è un disco molto spontaneo, molto, naturale, molto mio. Al 100% mio.
La tua cifra artistica è connotata da giochi di parole, piccole verità fulminanti, rompicapo da enigmistica. E’ come se lasciassi intravedere qualcosa, come se inviassi dei messaggi, fatti per sfumare non appena colti. Spesso rimandi ad altri livelli di comprensione: giochi, ma lo fai lanciando la riflessione, come si lancia una sfida. Questo tuo modo nasconde a sua volta un messaggio, o più semplicemente “non c’è niente da capire”, come cantava il Principe?
A volte sì, ho scritto delle canzoni dove c’era da ragionare un po’ di più, il che non significa che siano pesanti. Ad esempio “La settimana enigmatica” è appunto una canzone fatta a enigmi che vanno risolti e resta comunque una canzone piacevole, che si può ascoltare in due livelli: a un livello superficiale dice una cosa, ad un altro livello, se ci fai attenzione, ne dice un’altra. Questi sono esercizi che mi sono sempre piaciuti; mi affascinano molto. Mi piace la lingua italiana che si presta molto a giocare con le parole e anche a questa cosa di moltiplicare i significati. Su questo gioco, e mi viene anche abbastanza bene. Altre cose invece sono immediate. Poi ognuno interpreta le canzoni come vuole, che è il bello delle canzoni e che le fa appartenere a tutti quelli che le ascoltano. Io ho i miei significati dietro alle parole che ho scritto, ma se qualcun altro ci legge altro e questo lo emoziona va benissimo così. Non è necessario sapere quello che pensavo quando le ho scritte. Hai citato De Gregori: a me non interessa sapere cosa pensasse quando ha scritto Rimmel, ma se mi dà delle sensazioni, va benissimo. A volte è anche deludente sapere quello che c’è dietro le canzoni (ride), meglio non sapere. Mi fa anche sorridere , a volte, questa cosa delle interpretazioni. Per esempio sui social, c’era qualcuno che aveva ricopiato il testo di una canzone del disco nuovo, con di sotto un pippone “chissà cosa avrà voluto dire”, e tutto un aggirare significati, staccare e unire parole. Tutte cose che non avevo assolutamente voluto dire, però è divertente e anche bello che ci sia qualcuno che segue così scrupolosamente quello che fai.
Nell’album sono presenti varie autocitazioni, la si potrebbe interpretare come una sorta di tributo alla strada fatta sin qui?
Un tributo a me stesso, visto che non lo ha fatto nessuno, me lo son fatto da solo (ride). No, sicuramente quando ho fatto questo disco sapevo che sarebbe uscito dieci anni dopo il primo. C’era un po’ l’idea della chiusura di un cerchio. Per quello ci sono delle autocitazioni del primo disco, ci sono varie autocitazioni anche di altri miei dischi, quindi è un po’ chiudere il pacchetto dei dieci anni, che poi non vuol dire niente. E’ una roba che ci facciamo noi nella testa. Però c’era l’idea di chiudere un capitolo. Adesso, che so, mi metto a fare il cassiere della Coop oppure a fare musica elettronica, non so cosa farò. Quindi un po’ c’era l’idea, sì, di un tributo a questi dieci anni
Dunque Dente tributa se stesso?
Sì, però da vivo (ride)
Parli spesso di sincerità, e del fatto che le tue canzoni sono canzoni, prima di tutto, sincere. Quando è che una canzone è sinceramente pronta per venire al mondo?
Una canzone è sincera quando è scritta per il desiderio di scriverla, secondo me. Non voglio parlare dell’urgenza, di queste cose qua. Però il desiderio di scrivere una canzone, di buttare in musica o su un foglio di carta qualche cosa che si ha dentro o di raccontare una storia che si è immaginato, o si è visto: dipende da come uno scrive. Però appunto: la voglia di farlo senza l’idea del dovere. Devo pubblicare un disco, devo scrivere delle canzoni, devo fare dei concerti. Farlo quando si sente il desiderio, la voglia e il bisogno di fare canzoni, per me quella è sincerità. Gli artisti che fanno le cose con sincerità, o quelli che le fanno perché devono farle, perché non hanno voglia di fare qualcos’altro e vogliono continuare a vendere dischi: quelli si sentono secondo me. Si sente quando le canzoni sono costruite a tavolino o fatte da quattro cinque autori diversi che si mettono lì e scrivono per le pop star. Ecco quelle funzionano bene, ma non sono sincere, magari anche tante canzoni d’amore, lo sono molto poco. Io lo sento quando non lo sono.
Nella canzone “Cosa devo fare” tra i tanti interrogativi proposti c’è “se dei miei amici mi posso fidare”. Le tue canzoni in genere sono autobiografiche. Questi dieci anni, i cambiamenti avvenuti nella tua vita, ti hanno reso più fragile dal punto di vista delle relazioni?
Devo dire che mi sento oggi di avere più amici veri rispetto a tempo fa, forse mi sbaglio. Ho sempre avuto un po’ di difficoltà nelle relazione, però ho sempre creduto tanto nell’amicizia. Mi sembra oggi di avere più persone di cui fidarmi. Facendo questo lavoro si creano tante amicizie che possono sembrare vere e sincere e profonde, e poi magari ti accorgi che non lo sono. Quando sei sulla bocca di tutti o sulla cresta dell’onda tutti sono tuoi amici, sono pronti per te. Si professano sinceri, poi magari è possibile che queste amicizie vadano a scemare, se dalla cresta dell’onda passi invece sotto al mare. E’ un po’ difficile capire. Poi in particolare in quella canzone sono tante le domande che mi faccio, e sono messe lì anche un po’ per giustificarne il finale. In fin dei conti tutte le cose che vengono chieste alle stelle, alle cartomanti, alla palla di vetro: a un certo punto ci si accorge che magari bastava chiederle alla persona che avevi di fianco.
In “come eravamo noi” ci sono questi versi, molto belli: “stanchi come la luna rassegnati come i fiumi abituati a convivere coi sogni sapendo che i sogni si fanno da soli”. Com’è il tuo rapporto con il sogno, sia come costruzione della realtà a partire da volontà e sforzo, sia proprio come attività del sognare, mondo onirico? E quanto influisce sulla tua creatività?
Influisce abbastanza. Sogno spesso le canzoni, spesso se non tutti i giorni. Alcune canzoni che ho pubblicato le ho proprio sognate dall’inizio alla fine. E quando ho la forza di svegliarmi, ricordarmele alzarmi e scriverle è molto bello. A volte sogno anche le canzoni degli altri: stanotte ho sognato una canzone di Vasco Brondi. Poi son tutte inedite: la cosa bella è che sogno le canzoni inedite degli altri. Una volta una son riuscita a segnarmela, dei Tre Allegri, e l’ho scritta a Toffolo. Quando sogno le mie, sogno che sto cantando una canzone e se mi sveglio e sono abbastanza lucido da capire che stavo cantando una mia canzone inedita, allora cerco di ricordarmela e la scrivo. Quindi insomma i sogni sono molto importanti. Una canzone che ho sognato è “Parlando di lei a te”. L’ho sognata completamente, mi sono svegliato la mattina che stavo cantando il testo e la melodia. E’ una cosa che è venuta non so da dove, dall’inconscio: una canzone che ho scritto io ma non ho scritto io.
Quali sono le letture e gli ascolti che ti accompagneranno durante questo tour?
Mi porto sempre dei libri da leggere, perché le ore in furgone sono tante. Sabato scorso abbiamo suonato a Napoli e il viaggio è stato abbastanza lungo, sia all’andata che al ritorno. Spero di finire questo libro che ho cominciato, Eccomi, il nuovo di Jonathan Safran Foer. In questo periodo un po’ a fatica, ma mi piace molto, mi piace molto come scrive. Sì, mi porto sempre dei libri, non mi interessa ascoltare la musica nelle cuffiette. Siamo una band abbastanza silenziosa in furgone, quindi non ci sono neanche grandi chiacchiere, grandi distrazioni, si può leggere molto bene.
autrice: Simona Ciniglio
Il tour di Dente
“Magnolia”
09/11 | Segrate (MI)
“Hiroshima”
10/11 | Torino
“Teatro dell’Archivolto”
11/11 | Genova
“Circolo MAME”
12/11 | Padova
“Supersonic”
17/11 | Foligno (PG)
“Monk”
18/11 | Roma
“Locomotiv”
19/11 | Bologna
“Teatro Cristallo”
22/11 | Bolzano
“Teatro Politeama Civico”
23/11 | Saluzzo (CN)
“Auditorium Flog”
26/11 | Firenze
“Mu”
30/11 | Parma
“Druso Circus”
02/12 | Bergamo
“Candelai”
08/12 | Palermo
“Retronouveau”
09/12 | Messina
“MA”
10/12 | Catania
“OFF Officine Sonore”
11/12 | Lamezia Terme (CZ)
“Astro Club”
15/12 | Fontanafredda (PN)
“Pika Future Club”
16/12 | Verona
“Bronson”
17/12 | Ravenna