Un megatour fatto di megaconcerti fiume di ben 32 canzoni: questo è quello che Robert Smith ha riservato ai suoi fan per il ritorno on stage dei The Cure, che in Italia non mettevano piede dal tour del 2008 per promuovere quello che tutt’ora è l’ultimo album in studio dei Cure, l’ottimo 4:13 Dream.
Non avendo pezzi nuovi da presentare, le 32 canzoni si presentano come altrettante mini-tappe di un viaggio tutto interiore all’interno della discografia della leggendaria band: come e meglio ancora del tour del 2008, questa sessione live cerca di portare lo spettatore all’interno della complessissima evoluzione e trasformazione della band in quelli che sono ormai ben 35 anni di carriera.
Tutti gli album vengono accarezzati dalla scaletta del concerto (anche se Faith e Pornography, due dischi fondamentali e tremendamente significativi nella storia della band, risulteranno ingiustamente trascurati), dal primo con l’immancabile Boys Don’t Cry riservata alla parte di chiusura fino al 4:13 Dream del 2008: trovano spazio perfino album minori come The Top (2 pezzi) e Wish (2 pezzi) o Wild Mood Swings (1 pezzo), forse il disco meno intenso dei Cure.
Ma la scaletta, pur così variegata, ha comunque un’anima centrale: ed è Disintegration, l’album del 1989 tuttora considerato forse il migliore della band, che sarà suonato nella serata quasi integralmente.
Si comincia infatti proprio con Plainsong, stupenda, seguita da Pictures of You, sempre commovente, e poi da Closedown. Si procede con l’album The Head on the Door, con A Night Like This e poi la splendida Push (accolta da un palazzetto letteralmente stipato) e infine In Between Days. La prima mini-parte del concerto, ovvero l’ingresso, è conclusa con una serie di hit impressionanti subito sparate via.
Poi, la scaletta svolta verso i pezzi più nuovi, con Hungry Ghost e Alt.End, per poi tornare ai classici con The Walk, da Japanese Whispers, e arrivare fino a Primary, il singolo di Faith suonato qui con grandi effetti di luce e un’intensità pazzesca.
A questo punto Robert dice: “the next song comes from the Kiss Me Album”: ed è la volta di If Only Tonight we could Sleep, seguita da Shake Dog Shake, eseguita in maniera più dura ed elettrica della versione da studio.
Arriva poi la prima “chicca”: Charlotte Sometimes, il pezzo dell’epoca di Faith inciso al di fuori del disco, che inaugura la mini-serie degli inediti di successo che i Cure suoneranno nella serata tanto per non tralasciare proprio nulla.
Si ritorna a Disintegration con Lovesong, e poi a Kiss me Kiss me Kiss me con la planetaria Just Like Heaven, accolta dalla festa del pubblico in delirio. Poi è la volta di From the Edge of the Deep Green Sea (altra chicca) e si chiude con Prayers for Rain e Disintegration, sempre dall’omonimo disco dell’89.
Il primo bis è riservato in maniera esclusiva al secondo stupendo disco dei Cure, 17 Seconds: si comincia con At Night, da brivido, e poi M e Play for Today, per chiudere, inevitabilmente, con A Forest, che tutti aspettavano. Questa volta gli “again” urlati da Robert sono 21, e il pubblico li segue tutti replicando l’acuto con un’eco corale. Robert riserva un assolo finale emozionante per variare la versione da studio, e il concerto in realtà potrebbe già chiudere qui.
Sono state toccate, infatti, le tre grandi tappe della carriera dei Cure: la fase dark, cupissima e distruttiva degli esordi (Faith, 17 Seconds e, fin qui trascurato, Pornography), la fase pop-melodico-melanconica dei pieni anni ‘80 (Head on the Door, Disintegration, Kiss Me Kiss Me Kiss Me, Wish), e l’ultima fase degli anni 2000 (Bloodflowers non è pervenuto ma hanno suonato da The Cure del 2004 e da 4:13 Dream del 2008).
Ma c’è ancora da regalare al pubblico: arriva il secondo bis (siamo già a 22 canzoni) con Want, Never Enough, Fascination Street e ancora un inedito di successo, Burn, la colonna sonora del mitico Il Corvo.
A questo punto, tutti alla Unipol Arena sanno cosa riserveranno Robert e compagni (per l’occasione sul palco ci sono i vecchi compagni Roger O’Donnell, Simon Gallup, con i nuovi Jason Cooper, Reeves Gabrels) per il terzo e ultimo bis: si comincia con Lullaby, accolta dal delirio, e poi Caterpillar, Friday I’m In love, Boys don’t Cry, per chiudere con Close to Me e con Why Can’t I be You.
Tutte le più grandi hit sono state eseguite, ma c’è stato ampio spazio anche per tante chicche e per pezzi collaterali ma non meno belli dei dischi più importanti, nonché per qualcosa degli ultimi Cure, nonché per i pezzi dark dell’esordio, con netta prevalenza per 17 Seconds.
Tutti gli amanti dei Cure, quindi, sia della prima che della seconda che della terza e ultima fase, escono soddisfatti, ma il più contento sembra Robert Smith, che come al solito esce dal palco emozionato e quasi stupito dell’accoglienza, timido come un bambino, con quell’aria trasognata e surreale che tutti i fan di questa incredibile band conoscono bene, e che ha dato l’impronta definitiva alla band sin dall’inizio, tanto da autodefinirsi i “tre ragazzi immaginari”.
L’impatto devastante e suggestivo della musica struggente dei Cure, però, alla Unipol Arena stasera è stato più che reale.
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autore: Francesco Postiglione
Scaletta del concerto:
Plainsong
Pictures of You
Closedown
A Night Like This
Push
In Between Days
The Hungry Ghost
alt.end
The Walk
Primary
If Only Tonight We Could Sleep
Shake Dog Shake
Charlotte Sometimes
Lovesong
Just Like Heaven
From the Edge of the Deep Green Sea
Prayers for Rain
Disintegration
Primo Bis:
At Night
M
Play for Today
A Forest
Secondo bis:
Want
Never Enough
Fascination Street
Burn
Terzo bis:
Lullaby
The Caterpillar
Friday I’m in Love
Boys Don’t Cry
Close to Me
Why Can’t I Be You?