Charles Cave e Jack Lawrence-Brown e Harry McVeigh, da Ealing, Londra, al secolo i White Lies, sono forse la band dal successo più immediato nel panorama rock degli ultimi anni. Con il singolo e relativo album To Lose My Life del 2009 si sono piazzati subito al n. 1 delle vendite europee, e da allora gli è toccato di mantenere fede alla promessa musicale che rappresentano. Ritual, il secondo album del 2011, è riuscito a tener botta, ma Big TV, del 2013, è passato un po’ sotto silenzio. Il rischio era che una band così talentuosa e dagli esordi così fulminanti si spegnesse, nonostante i tanti concerti da headliner e da supporter di gente di tutto rispetto come Coldplay, Kings of Leon, Muse, svolti tra il 2009 e il 2011 soprattutto.
Ebbene, Friends si candida come l’album dell’ultima prova di fiducia. E la supera a pieni voti.
Take it out on me, il primo singolo in giro per le radio in questi giorni, è già una hit, ed è anche la canzone di apertura del disco con la quale i White Lies sembrano dire all’ascoltatore: “benvenuti in un viaggio nel tempo”. Come la Delorain del MacFly di Ritorno al Futuro, questa canzone, una volta allacciate le cinture, ti riporta diretto al cuore degli anni ’80, con atmosfere e citazioni esplicite di Joy Division ma anche degli A-Ah, dei New Order come dei primi Depeche Mode.
Il viaggio nel passato continua con Morning in LA e Holding Back Your Love, Is My Love Enough, Swing, ugualmente radicate nell’elettropop-rock degli anni ’80. Per la verità i White Lies sono sempre stati uno degli alfieri del ritorno alla New Wave che si è consumato tra il 2000 e oggi con band come Editors, Interpol, Stellastarr, ma mentre le altre band hanno scelto una strada di evoluzione più musicalmente aggiornata, con questo disco il trio inglese si candida a essere la prima e più importante band che porta in eredità il cuore dell’eighties-mood.
Al di là del sound così esplicitamente eighties, la novità del disco è che musica e testo sembrano meno cupi, più solari, portatori di un filo di luce che nei dischi iniziali si intravedeva meno.
Come On, in particolare, ha uno stile epico solenne (che ricorda Marching Orders dei concorrenti Editors) che risulta nuovo nelle corde di questa band.
Complessivamente un disco interessante, che colpisce al primo impatto. Forse non ha uno spessore così profondo da resistere a tanti ascolti, ma è un disco che si ricorda subito al primo ascolto, denso di hit che però non cedono al commerciale esplicito, e soprattutto si mantengono nella scia di quanto fatto finora dai tre londinesi, che qui hanno affinato più che mai le soluzioni del loro New Wave Style.
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autore: Francesco Postiglione