La indie rock band dalla genetica più grunge di sempre (Ben Bridwell fondò con Mat Brooke la band a Seattle, nel 2004, sotto la leggendaria etichetta grunge Sub Pop) ha pubblicato in questi giorni per Caroline Records il suo quinto album, Why Are You Ok, il cui titolo potrebbe essere inteso come un’autobiografia dello stato di benessere e di successo del gruppo in questi anni. Dopo l’EP Tour EP del 2005 pubblicato sempre per Sub Pop, il loro primo album Everything All the Time, vedeva già la formazione nel suo schieramento attuale, con Ben Bridwell, Creighton Barrett, Ryan Monroe, Tyler Ramsey, Bill Reynolds e Blake Mills.
Ora Why Are You Ok sembra suggellare la svolta verso il rock più dolce e commerciale già inaugurata con il precedente Mirage Rock, senza rinunciare tuttavia alla qualità e al sapore indie.
In sostanza, Why Are You Ok è la perfetta fusione di indie rock alla Kings of Leon con atmosfere più rilassate alla Kings of Convenience, specie nei lenti, come Dull Times, Lying Under Oak, Hag, Barrel House e Even Still, che hanno tutte (tranne l’ultima) sfumature country da vera band americana.
E’ questo insieme di ballate country a costituire una delle novità rilevanti del disco, anche se alcune sono decisamente troppo lente per reggere a più di un paio di ascolti.
Il disco è nettamente diviso fra questo tipo di pezzi, e pezzi decisamente più ritmati e veloci, puramente indie, ai quali senza dubbio affida il suo successo e il suo apprezzamento commerciale. E per fortuna questi pezzi più rock sono tra i migliori della band: si distingue senza dubbio Casual Party, col suo riff suadente e di facile conquista, che spopolerà nei cori dei concerti della band. Casual Party è in effetti il singolo di lancio perfetto per una band indie: corale, strutturalmente semplice, divertente da ascoltare e da cantarci sopra, e con riff azzeccati e non presuntuosi né pretestuosi. Chiamatela commerciale ma è di questo che campano le emozioni immediate. Vertici simili nel disco non vi sono, ma vi è una bella intro rock con The Moon, di soli due minuti, una ariosa Solemn Oath, una piacevole In a Drawer, anche questa zeppa di cori semplici e immediatamente affascinanti, Whatever Whenever e soprattutto Throw a Mess, altra bella sorpresa, con impostazione puramente country blues, un cantato facile e un ritmo sostenuto che ne fanno successo immediato. Country Teen invece rappresenta la fusione perfetta fra queste due anime del disco, quella da ballata country e quella da indie rock ritmato. Anche se il pezzo è decisamente country, il ritmo sostenuto e il piacevole sincopato della chitarra lo trasforma in qualcosa di movimentato e non lento.
Dopo 12 tracce, la sensazione è di avere ascoltato un disco facile facile, essenziale, semplice, con assoluta assenza di virtuosismi e mancanza di qualsiasi strafare. Ma non è sempre un difetto questo, soprattutto a fronte di tanta eccessiva sperimentalità, e in ogni caso l’indie rock puro è questo. Prendere o lasciare.
Ecco perché, parafrasando il titolo del disco, il quinto album dei Band of Horses è ok e li consacra come una delle band più interessanti di questo secondo decennio.
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autore: Francesco Postiglione