Piccolo caso cinematografico, la “Buona Uscita” di Enrico Iannaccone racconta una Napoli inedita, fuori dai cliché che ammantano la bella Partenope e lontano anni luce da certa cinematografia “main stream” che, sin dagli albori, più che raccontare il capoluogo partenopeo ha contribuito a fondare il mito della “napoletanità”.
Freakout Magazine ha intervistato l’attore Marco Cavalli, protagonista maschile del lungometraggio che ha stupito il mondo del cinema italiano raggiungendo un tasso di spettatori per copia stellare, sorpassato unicamente dal blockbuster Captain America: Civil War.
Cavalli interpreta Marco Macaluso, un personaggio turpe, egotico e cinico in maniera a dir poco scellerata. Un uomo spregevole che l’attore, con quei suoi tratti da bravo ragazzo e il sorriso sincero, è riuscito a rendere invece irrimediabilmente simpatico, smussando gli angoli di un carattere che nasconde molteplici sfumature (e nessun rimorso).
Abbiamo intervistato l’attore durante una (giuriamo, frugale) pausa pranzo.
Il tuo è un personaggio controverso, sopra le righe, di fatto torbido eppure per certi versi simpatico. Nello spettatore il tuo Marco non ingenera repulsione, piuttosto riesce a catturare il pubblico con quei suoi modi affettati da moderno marchese de Sade, disposto a sacrificare chiunque sull’altare del proprio piacere. Come hai proceduto nella preparazione del tuo personaggio?
M.C. L’ho pensato anzitutto attingendo dal cinema e dai personaggi dell’immaginario filmico con le caratteristiche di Marco e poi dall’attualità: basta uscire per strada, guardarsi intorno, e di personaggi come quello da me interpretato se ne ritrovano davvero tanti. Per me lui è un post -snob, uno dedito all’egolatria. Se fosse un saggio, sarebbe un epicureo, ma lui non è un saggio: è una persona che incarna fino all’estremo il culto di sé stesso. Il suo è una sorta di nichilismo libertario, secondo cui vale tutto pur di godere dei propri spazi di libertà. La sua è una maschera ma senza spigoli. Tu mi parli di de Sade e a me invece viene in mente il Marchese del Grillo. Pensa ai suoi atteggiamenti: quando va da don Peppe, quello dei cornetti, e gli ride alle spalle, lo provoca. O quando incontro il direttore dell’albergo. Il suo è un vezzo che va oltre la cattiveria. È piuttosto il gusto di sfottere. Ricordo che rispetto alla battuta dell’albergo dissi ad Enrico (Iannaccone, ndr): “Qui rischiamo di fare la fine di Mario Merola e della sangria!” E lui invece no, era convinto che avrebbe funzionato e in effetti è così, tutti ridono a quella battuta, il tempo comico è venuto “buono alla prima”.
La Buona uscita non è il tuo primo lavoro nel cinema. Ci racconti le tue esperienze precedenti?
M.C. Per me recitare è sempre stato un sogno, fin da bambino. Prima del cinema c’è stato tanto teatro, nella scena off partenopea. Poi un bel po’ di cortometraggi, presentati in diversi concorsi. Quindi ho interpretato il ruolo di giornalista nel film- documentario “Sandokan. Una storia di camorra” di Sergio Spina, prodotto da Raicinema e patrocinato dalla CGIL. Ho inoltre fatto un’incursione in tv in una puntata di “Amore criminale” e la comparsa ne “La kryptonite nella borsa” di Ivan Cotroneo. Infine, tanti videoclip, tra cui uno realizzato di recente, come protagonista per K- Conjong.
Mi è sempre piaciuto interpretare personaggi diversi da me. Per me recitare è un gioco, il più divertente in assoluto. Insomma proprio come per Giancarlo Giannini che diceva di amare recitare sin da piccolo, quando andava alle feste di Carnevale. E poi sono un cinefilo.
Ti sei mai immaginato dall’altra parte della barricata?
M.C. Sì ma al massimo in qualità di direttore della fotografia. Sarei in grado di immaginare le scene, le inquadrature, pensare alle luci, ma non ho la visionarietà del regista. Tutt’al più potrei pensare ai dialoghi ma non saprei scrivere una sceneggiatura.
Nel film è rappresentata una Napoli fuori dall’immaginario oleografico. Colpiscono le ambientazioni, di una bellezza e un lusso disarmanti, fuori dall’idea di una città povera e stracciona. Quanto, dal tuo punto di vista, il film racconta la città e quanto, invece, rappresenta uno spaccato del contemporaneo?
M.C. Il film fa entrambe le cose. Racconta sia il contemporaneo che la città. Sicuramente lo spettatore non si ritrova di fronte ad una visione oleografica, bensì ad una Napoli mai rappresentata al cinema, dove si vedono un pezzo della borghesia, Bagnoli e il palazzo Donn’Anna e il Borgo Marinaro.
Da questo punto di vista sono perfettamente d’accordo con la visione che Enrico ha voluto dare della città. Mi sono trovato perfettamente a mio agio in quel fondale, con quell’immagine di Napoli.
Il film sta riscuotendo un grande successo di pubblico. State accompagnando il film, nonostante il numero esiguo dii copie, in numerose sale. Quale feed back state ricevendo?
M.C. Stiamo avendo un riscontro molto positivo, al di là delle nostre previsioni. Il nostro non è un film per il grande pubblico, eppure stiamo avendo un riscontro molto positivo al botteghino. Pensa che “La buona uscita”, dopo Captain America, è la seconda pellicola a realizzare la migliore performance nel rapporto tra spettatori e copie distribuite. Il film sta suscitando curiosità e gode di un ottimo passaparola, anche grazie al contributo della stampa.
Nel cast, insieme a te e all’attrice Gea Martire, numerosi attori alla prima prova. Quali difficoltà, se ci sono state, avete trovato?
M.C. In realtà nessuna. Enrico ha una capacità di coinvolgere sia il cast che i tecnici vera, schietta. Riesce a mettere tutti a proprio agio, rendendo il rapporto tra di noi agevole, facile.
La pellicola è prodotta dalla Mad Entertainment di Luciano Stella. Negli ultimi anni sono molto le produzioni realizzate a Napoli. Credi sia possibile parlare di una nouvelle vague partenopea?
M.C. Lo spero. Di talenti ce ne sono tanti. Basterebbe fare un po’ più squadra e poi soprattutto c’è bisogno di investitori, perchè il cinema costa.
E cosa puoi dirmi rispetto al ruolo della Campania Film Commission?
M.C. Beh, c’è da dire che lì dove aabbiamo avuto dei problemi, ecco la film commission non ci è stata di grande aiuto. Ma, forse, questa è solo la mia percezione. Sai com’è noi attori, viviamo nella bambagia, in una condizione ovattata.
La distribuzione con Microcinema è stato un plusvalore?
M.C. Sì perchè Microcinema ha anche partecipato alla produzione consentendoci di realizzare un film già orientato alla distribuzione.
“La buona uscita” è stato realizzato con fondi pubblici…
M.C. Siamo arrivati al quinto posto, poiché ci presentavamo con parametri di eccellenza. Posso dire con soddisfazione che per una volta in Italia è stata fatta una valutazione senza raccomandazioni. Insomma la Buona uscita ha avuta una buona riuscita, senza bisogno di contare su padrini e santi protettori.
Facciamo un gioco: fammi una lista dei registi viventi e non per cui vorresti lavorare (o avresti voluto farlo)?
M.C. Avrei voluto lavorare con tutti i grandi registi degli anni ’60 ma purtroppo non ne è rimasto nessuno vivo: Monicelli, Zampa, Fellini, Risi, Comencini e soprattutto Scola che credo sia un gradino al di sopra di tutti.
Di quelli viventi, mi piacerebbe lavorare con Sorrentino così come con Garrone e poi con Martin Scorsese (e lo sguardo si accende scintillante mentre pronuncia il nome del maestro, ndr) e, certo, anche con Emir Kusturica.
E quali tipo di personaggio ti piacerebbe portare sullo schermo?
M.C. Mi piacerebbe tanto diventare un nuovo Manfredi o un nuovo Sordi e poi, il più grande di tutti: Gian Maria Volontè.
Ancora un gioco: Sorrentino, Martone, Garrone. Chi scegli?
M.C. Sorrentino. In ordine di preferenza: Sorrentino e Martone, quasi allo stesso livello e Garrone anche. Ma Sorrentino su tutti: ha quel qualcosa in più.
Infine, domanda classica: quali sono i tuoi progetti per l’immediato futuro?
M.C. Attualmente sto girando un corto sulla Napoli esoterica e poi ho in programma una web series, ma non vi dico di più!
Autrice: Michela Aprea