Nuovo album in vista nel 2017 per una collaborazione speciale nel ramo dell’ambient music che coinvolge quattro apprezzati musicisti di altrettante nazionalità diverse.
Gli attori della partnership sono il produttore svedese Dag Rosenqvist, il prolifico sound artist e graphic designer olandese Rutger Zuydervelt aka Machinefabriek, il compositore vesuviano Emanuele Errante e il musicista britannico Chris Hooson, noto per il suo impegno in ambito musicale come Dakota Suite insieme al fido David Buxton sempre più concentrato nel reparto tecnico.
Dal proprio sito gli stessi Dakota Suite, fulcro principale del progetto, hanno provato a definire il lavoro come “una meditazione tranquilla, cupa ed intensa sulla realtà dove tutto è rotto e le cose che sono perse possono essere trovate”. In effetti stiamo parlando di musicisti dalla personalità artistica e background differenti e sarà interessante scoprire in quale misura sono riusciti a combinare le loro abilità…
Reso noto anche il titolo del disco in uscita: “The Indestructibility of the Already Felled”, oltre a quella che con molta probabilità sarà la tracklist definitiva, comprendente al momento ben nove composizioni.
Di recente, per la precisione il 22 gennaio, la berlinese Karaoke Kalk ha ristampato “The North Green Down”, lavoro molto pregiato in cooperazione tra Emanuele Errante e i Dakota Suite, edito in origine nel 2011 dall’etichetta di Dortmund, Lidar.
Allo stesso modo, anzi in maniera incrociata, non è del tutto nuovo un partenariato tra Dag Rosenqvist e Rutger Zuydervelt, già in sinergia nel 2006 con la produzione dell’album “Vintermusik“.
Abbiamo approfittato di questa interessante collaborazione per fare qualche domanda a Emanuele Errante. Anche per comprendere meglio come nasce e si sviluppa un progetto così ambizioso.
FO: Emanuele, cosa ci puoi raccontare di questa nuova esperienza con Dakota Suite, Machinefabriek e Dag Rosenqvist? Come è nata questa cooperazione?
EE: Dopo The North Green Down varie vicende personali ci hanno allontanati per lungo tempo. Chris ha continuato la sua produzione e io mi sono catapultato nel progetto ELEM. Probabilmente però sapevamo che prima o poi avremmo ripreso il discorso da dove lo avevamo lasciato, anche perché eravamo (e siamo) entrambi così entusiasti dell’album realizzato che c’è sempre stata una forte volontà di lavorare di nuovo insieme. Ho risentito Chris in occasione della ristampa su vinile di The North Green Down da parte di Karaoke Kalk ed è stato un po’ come quando due vecchi amici si rincontrano e sembra che il tempo non sia mai passato. Chris mi parlò di alcuni suoi nuovi progetti, tra i quali The Indestructibility of the Already Felled con Dag Rosenqvist e Machineabriek. Mi disse che erano all’inizio e che man mano che il lavoro andava avanti lui pensava continuamente “Questo sarebbe il disco perfetto per Emanuele”… Adoro i dischi di Dag, ammiro la prolificità artistica di Machinfabriek e ovviamente con Chris c’è un’intesa ormai affermata. Non ho avuto neanche un attimo di esitazione e sono saltato a bordo. Le modalità compositive sono le stesse di The North Green Down: lavoriamo ognuno nel suo studio, scambiandoci file e idee. Devo dire che fino ad ora ogni parte proposta da ognuno ha ottenuto immediatamente il consenso degli altri e le cose sono andate avanti con grande rapidità. Il potenziale che c’è in questa squadra è enorme e i risultati sono davvero entusiasmanti.
FO: In una collaborazione complessa come questa che vi state accingendo a completare, come funziona il gioco di squadra? Com’è possibile far emergere il carattere e le particolarità di ogni musicista?
EE: Si lavora semplicemente per il brano, l’approccio è molto pragmatico, nessuno sente la necessità di far emergere le proprie peculiarità, quello che conta è dare la corretta intenzione al brano. Poi è chiaro che, trattandosi di un collettivo di artisti presenti sulla scena da più di un decennio, è inevitabile che l’intervento di ognuno sia riconoscibile quasi immediatamente. Non ho mai chiesto chi ha fatto cosa nelle bozze che mi sono arrivate, quelle preparate prima che Chris mi proponesse il progetto, perché riesco a distinguere perfettamente la mano di Dag, quella di Machinefabriek e quella di Chris (ovviamente). Credo che anche chi ascolterà i brani, conoscendo lo stile di ognuno di noi, non avrà alcun problema a riconoscere la paternità di ciascun intervento. Ma questo, ripeto, è un fattore secondario. L’obiettivo principale è tirare fuori delle tracce che siano all’altezza delle nostre aspettative e di quelle di chi ascolterà l’album.
FO: Lavorare a distanza, come in questo caso, certamente permette di aver più tempo per riflettere e organizzarsi, ma ciò non va a discapito delle possibilità dell’improvvisazione o dei tanti fattori addizionali legati al suonare insieme ad altri musicisti?
EE: Personalmente non sento affatto la necessità della presenza fisica, perché l’intensità emotiva con cui percepisco ogni singola parte di un brano man mano che ci lavoriamo è tale che non mi manca altro. Anzi, la possibilità di raccogliermi in me stesso ed elaborare la mia parte attivando una sorta di dialogo sinestetico tra mente e cuore è la mia dimensione ideale per la composizione di questo genere di musica. Ritengo l’improvvisazione utile e stimolante quando si suona dal vivo, non nella composizione di un album.
FO: Al contrario…negli ultimi anni ti sei impegnato molto in un’altra apprezzabile collaborazione, gli Elem, insieme a Marco Messina, Fabrizio Elvetico e Loredana Antonelli nel comparto video, dell’improvvisazione ne avete fatto una bandiera, ma tu come preferisci comporre?
EE: Appunto. L’esperienza ELEM nasce sull’improvvisazione dal vivo. Ma in studio risulta molto più difficile comporre improvvisando. E poi in studio anche l’improvvisazione necessita di dell’editing. Per il mio modus operandi e per il mio approccio compositivo è per certi versi addirittura impossibile comporre improvvisando. In definitiva considero l’improvvisazione poco funzionale alla stesura di un brano.
FO: Che sviluppi vi siete prefissati con gli Elem?
EE: Tra mille difficoltà legate ai vari impegni di ognuno, stiamo cercando di portare a termine il secondo disco. Per avere la giusta concentrazione abbiamo anche frenato un po’ con i live.
FO: “Migrations” e “Humus” sono legati da una matrice compositiva pressoché affine, in “Time Elapsing Handheld” il suono si è ulteriormente allargato. Oggi invece, e con il bagaglio delle esperienze dovute alle collaborazioni, in che direzione si evolve il tuo suono?
EE: Ti ringrazio per questa domanda perché sono particolarmente attento a questo aspetto. Dal punto di vista emotivo, l’approccio e l’intenzione rimangono invariati. Sostengo da tempo che oggi la rivoluzione si fa accompagnando le persone in un viaggio interiore, perché guardarsi dentro fa paura a molti. E quindi l’esercizio che faccio in primis su me stesso è quello di creare musica che favorisca l’introspezione. La ricerca sonora prende quindi la direzione dei miei stati d’animo del momento. Ecco perché hai giustamente notato una certa affinità tra i primi due dischi e alcune differenze sostanziali nel terzo. Da Time Elapsing Handheld a oggi sono passati quasi 5 anni e in cinque anni cambiano tantissime cose e cambia anche il bagaglio emotivo che ti porti dietro, al di là dei diversi contesti che ti circondano e dalla vita che conduci. Oggi il mio suono non può essere uguale a quello dei primi tre album. Tuttavia, sto cercando di recuperare in qualche modo l’impronta modern classic di Humus e di rivisitarla secondo le mie attitudini emotive attuali. Le collaborazioni, poi, ti aiutano a crescere grazie al confronto, ma fondamentalmente quando ti ritrovi a comporre cose tue rimani quello di sempre.
FO: Emanuele, tu vivi nella provincia di Napoli. Fermo restando che da sempre e oggi in particolar modo grazie al web, la musica non vive necessariamente un luogo, inoltre tuoi dischi sono stati prodotti per etichette sparse nel mondo; tu comunque hai omaggiato la città e tratto ispirazione per un album come “Gouache”. Al contrario, secondo te la città come accoglie proposte musicali come la tua? Come vivi l’esperienza dell’essere un compositore in un territorio in genere molto legato alle tradizioni come Napoli?
EE: Questa è una terra dalle tradizioni molto radicate. Al tempo stesso c’è un’attrazione molto forte verso la modernità, vista anche come forma di riscatto. Tuttavia c’è ancora molta timidezza nell’approcciarsi a dimensioni nuove, non convenzionali. Confido molto nei percorsi culturali proposti con ostinazione da persone come Leandro Pisano, che promuovono una rilettura della tradizione attraverso linguaggi completamente innovativi, spesso anche in luoghi remoti e dimenticati (e riuscendoci egregiamente). Anche se ci vorrebbero molte più esperienze come quelle portate avanti da Leandro, sono certo che siamo sulla strada giusta. La conferma arriva anche dal moltiplicarsi di locali e festival deputati a questo determinato tipo di musica. Una spinta maggiore meriterebbero però le varie sfaccettature dell’elettronica, in primis l’ambient. E un’attenzione maggiore a quello che succede musicalmente nel resto d’Europa.
“The Indestructibility of the Already Felled” – tracklist (non definitiva)
- now that we are lost
- shadows are more accurate than truth
- between hope and tragedy
- sometimes broken things are the glue of the world
- I survive only in someone else
- de ziekte van emile
- I am neither necessary, nor dead
- life is only ever really found in the arms of another
- moving forward is its own rebuke
www.dakotasuite.com
www.facebook.com/Emanuele-Errante
www.machinefabriek.nu
www.dagrosenqvist.wordpress.com
autore: Luigi Ferrara