Prosegue il lungo tour di Giovanni Truppi iniziato dopo la pubblicazione del terzo disco omonimo nel 2015, con una parentesi di date in solitaria, in questa Primavera, accompagnato dal suo particolare pianoforte portatile autocostruito, nelle quali si celebra anche la ristampa del primo disco intitolato C’è un Me Dentro di Me, del 2010. Approfittiamo del concerto napoletano al teatro Galleria Toledo per incontrare Giovanni al termine del sound check, e fargli qualche domanda.
Vuoi fare un bilancio del tuo ultimo disco omonimo, il terzo, pubblicato l’anno scorso, specialmente riguardo all’accoglienza dal vivo?
Sono contento… sto portando in giro queste canzoni da tanto tempo ormai, ed è una bella soddisfazione. Fine a tutto Maggio avrò ancora date con soltanto il piano, a Bologna ed in provincia di Latina, mentre a Luglio ripartirò con la band, e con ancora l’Estate prossima saranno quasi due anni di tour.
In passato ti ho visto suonare dal vivo da solo, o in duo con un batterista, mai in gruppo. Si può dire che preferisci esibirti in formazione ristretta?
No, assolutamente. Mi piace sperimentare, la tournèe in duo ad esempio nacque perché l’intero secondo album (Il Mondo è come te lo Metti in Testa del 2013, nda) avevamo scelto di arrangiarlo per duo, con Marco Buccelli, suonando live in studio e sovraincidendo soltanto la voce. Nel terzo disco (Giovanni Truppi del 2015, nda) ho scelto arrangiamenti meno essenziali, e la forma giusta per suonarlo in giro è stata il trio, sempre con Marco alla batteria ed un altro musicista che si alterna con me a chitarra e tastiera. In questa parte del tour, poi, mi sto esibendo in solitaria al piano, e sto proponendo canzoni dei miei 3 dischi riarrangiate per l’occasione. Mi piace molto fare esperienze diverse, mi diverte e non posso dire di avere preferenze.
Ricordo un tuo concerto di apertura agli Zen Circus a Napoli, in cui ti esibisti da solo. Andò bene, malgrado il pubblico degli Zen Circus in linea di massima non ti conosceva. In situazioni come quella ti preoccupa salire sul palco in solitaria?
No, perché io – come immagino del resto tutti i musicisti – con la musica ho iniziato così, scrivendo ed esibendomi per un pubblico che non mi conosceva. Soprattutto nelle prime cose che ho scritto in vita mia sono sicuro che questo si avverte, ed anzi, per me è una bella sfida, in cui mi ci sono sempre divertito. Ovviamente anche con la paura, ma è sempre stato stimolante.
Le tue canzoni sono molto personali. A volte riflettono cosa vedi intorno, altre volte sembrano una sorta di autoanalisi. In che misura questa può essere una motivazione per te, nella musica?
Io nelle canzoni cerco di parlare delle cose che mi interessano di più, e così a volte mi rivolgo anche verso temi di carattere esistenziale… talvolta può trattarsi di mie riflessioni, ma magari anche di pensieri raccolti da persone a me vicinissime. Ovviamente è una domanda che mi viene fatta spesso, e mi rendo conto che ciò che scrivo risulti molto personale. Ci tengo però a dire che se ciò non è sempre vero, sono tuttavia contento che lo risulti, perché vuol dire che ho lavorato bene. Se sto parlando di una gioia, una sofferenza o un rapporto d’amore, per provocare qualcosa in chi ascolta è necessario che il racconto sia credibile, e stia in piedi.
Parliamo del pianoforte con cui ti sei esibito dal vivo in queste date primaverili. È vero che l’hai adattato ed alleggerito per potertelo portare dietro in tour ed evitare di dover ricorrere alla solita tastiera?
Quella del pianoforte è stata un’avventura: per realizzarlo acquistai un pianoforte piuttosto economico proprio perché non sapevo come sarebbe andata a finire, se l’idea fosse realizzabile, se il suono sarebbe stato compromesso… ci ho lavorato per passi successivi montando e smontando, e sono sicuro che ancora adesso ci siano altre operazioni da tentare. Tieni presente che all’inizio provai a contattare alcuni liutai di Roma in cerca di aiuto e consigli ma nessuno mi prese sul serio, così mi misi all’opera da solo, segando via intere parti del pianoforte e trovando una serie di soluzioni più o meno improvvisate per mantenerlo funzionante ma leggero. Il risultato fu una prima versione, la brutta copia di quello che utilizzo oggi sul palco, che con uno stratagemma feci visionare ad un liutaio, Daniele Pintalli, al quale molti mi avevano consigliato di rivolgermi sin dall’inizio ma che mi aveva considerato folle. Lo invitai a casa con la scusa di fargli accordare un altro mio piano e gli sottoposi invece la mia “creazione”, chiedendogli un parere. Lui se ne innamorò, sposò la causa rivelandosi poi fondamentale per proseguire l’opera. Un’operazione romantica, in un mondo della musica generalmente piuttosto omologato.
Un concetto che ogni tanto ritorna nelle tue canzoni è la necessità di accettare con tranquillità che ciascuno abbia un proprio personale punto di vista sulle cose, magari opposto rispetto al nostro.
Si tratta di un concetto sul quale io per primo lavoro su me stesso. Posso essere un passo avanti rispetto a com’era 10 anni fa, o rispetto a quando sei un bambino ed il tuo universo ed il tuo metro delle cose sei tu e basta. Piano piano devi accettare che non è così. Sento che devo fare ancora dei passi su questo concetto: che il centro del Mondo non sono io.
All’epoca del tuo primo disco solista ti capitò di esibirti anche a New York, con Marco Buccelli. È una cosa che si è poi ripetuta, successivamente?
No. Marco oltre ad essere il batterista con cui suono è anche il produttore del secondo e terzo album, e ci vive a New York. È per questo motivo che, all’epoca mi capitò l’occasione, andando lì per lavorare al mio disco. Feci qualche data, però ci manco da un po’.
La tua musica, come solista, cominciò a svilupparsi tra Roma, dove ti eri trasferito, e Napoli, dove sei nato. Esiste un dualismo nella tua vita tra queste due città? In qualche canzone accenni a questa cosa: non tagli i ponti con Napoli, ma non ti senti di appartenere a nessun luogo…
Il non sentire di appartenere ad un luogo preciso per me ha a che fare con la difficoltà di scegliere, che mi dà l’idea di fermarsi. Però poi realizzo che io a Roma ci vivo ormai da 12 anni, e dunque dovrei riuscire a dire con più tranquillità – ed in realtà sto cominciando a farlo… – che Roma è il posto dove ho scelto di vivere. Il dualismo tra Roma e Napoli nella mia vita c’è, ma è relativo anche perché sono due città del sud Italia, dunque nella mia testa culturalmente relativamente europee, ed affini.
I tuoi videoclip sono sempre originali e provocatori. Ce n’è uno a cui sei particolarmente affezionato?
Direi quello di ‘La Domenica’, e poi quello di ‘Stai Andando Bene Giovanni’.
E riguardo invece a quello di ‘Superman’, visivamente bellissimo, ti ha attirato addosso qualche critica per le scene hot in esso contenute? Avete avuto qualche difficoltà a farlo circolare?
No. In realtà per i videoclip, a meno che non vadano su Mtv non c’è un particolare rischio censura… potevamo temere che magari ce lo censurassero su youtube (dove il videoclip al momento ha quasi 50.000 visualizzazioni, nda) e sarebbe stato un peccato, ma non è successo.
Ascolti sempre la musica di Roberto Murolo?
Assolutamente!
Grazie Giovanni!
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autore: Fausto Turi