Molto probabile il titolo dell’ultima fatica di Mr. Osterberg è stato deciso in seguito alla morte dell’amico David Bowie, colui che più di tutti lo ha aiutato a risollevare la sua carriera dopo aver toccato il fondo a metà degli anni ’70. Josh Homme a cui Iggy Pop ha chiesto un aiuto per questo lavoro, con le dovute proporzioni, ha svolto la stessa funzione di Bowie, perché la carriera solista di Iggy Pop era giunta ad un binario morto, dopo i mezzi passi falsi di “Préliminaries” e “Aprés”. Così il padrino del punk si è recato presso lo studio di Homme, nel deserto californiano, e ha registrato questi brani che dovrebbero/potrebbero essere gli ultimi della sua carriera; se così fosse sarebbe un modo più che dignitoso chiuderla dopo quarantacinque anni spesi tra palchi e studi registrazione.
Se le parti di chitarra le ha suonate tutte Mr. Queens Of The Stone Age, le percussioni sono state suonate da Matt Helders (Arctic Monkeys) e tutto il resto dal polistrumentista Dean Ferita.
Diciamo subito che Iggy Pop e Josh Homme hanno trovato il punto di incontro tra il sound stoner e un certo pop-rock che non graffia come i tempi che furono per Iggy, ma questo è fisiologico per un sessantanovenn, per cui il rispetto e la stima restano immutati, soprattutto se si considera che ha mantenuto sempre alta l’asticella dell’indipendenza.
Nell’album è subito evidente l’omaggio a David Bowie, in “Gardenia” con il pulsante post punk algido nel quale viene evocato “Let’s dance”. Il brano iniziale “Break into your heart” è l’apice della fusione tra i mondi di Pop e di Homme, con chitarre fragorose ed un cantato avvolgente e quasi rilassato, brano che fa il paio con “Paraguay”, in cui si intercetta del sano cinismo e un sound catchy con esaltanti svisate chitarristiche.
Il brano più rock è “Sunday”, una cavalcata non aggressiva. Alla fine questa è la caratteristica di questo disco, un rock mai aggressivo, piuttosto malinconico e disincantato di fronte agli inevitabili processi vitali.
autore: Vittorio Lannutti