Il pop pensieroso dei gallesi Darkstar tesse trame sintetiche e stringenti ma intrise di lirismo, umanità e ritmo, e ci si perde ad esempio nella delicata circolarità del finale di ‘Through the Motions‘ come nel classicismo degli archi sintetici di ‘Tilly’s Theme‘ e nel soul digitale stile Hot Chip intitolato ‘Days Burn Blue‘, mentre superflui se non fastidiosi risultano taluni stacchetti ed incisi parlati che chiudono spesso sbrigativamente alcuni brani, che dovrebbero avere probabilmente lo scopo di mandare messaggi e staccare l’ascoltatore dal flusso sonoro, richiamandolo alla realtà.
I Darkstar con questo disco sono tornati un duo con James Young e Aiden Whalley dopo l’abbandono giunto a sorpresa del talentuoso frontman James Buttery, e non pochi in questi mesi hanno pronosticato il naufragio del gruppo; invece Foam Island è un disco contenente 12 brani piuttosto ispirati, tra anni 80, Lali Puna e Thom Yorke solista, che ricreano atmosfere astratte attraverso suoni elettronici sui quali contrastano l’umanità della voce (‘Inherent in the Fibre‘) ed il tepore avvolgente dei ritmi pop (‘Go Natural‘).
Malinconia di fine Estate e futurismo, solitudine metropolitana, malesseri interiori e voglia di ballare (‘Stoke the Fire‘) narrate attraverso un linguaggio musicale moderno e soprattutto lineare che cerca la semplicità e l’atmosfera piuttosto che l’arrangiamento stratificato. Manca forse il colpo di genio, per un disco in ogni caso piacevole ed un gruppo che ha cose da dire.
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autore: Fausto Turi