Si sa che gli hipster non scopano, ma su Megan James e Corin Roddick al lavoro in una stanzetta di Edmonton, capitale della provincia canadese di Alberta, quelli di Pitchfork si staranno facendo ancora seghe.
Another Eternity, il secondo album dei Purity Ring, raccoglie tutti gli umori del mainstream-pop e lo immerge in algida e calcolata cerebralità indie, di quella tutta levigata e dreampop di casa 4AD.
Con il nervosismo serpeggiante del Natale e di fine anno questo disco andava bene da mettere su agli aperitivi o al contrario, avrebbe peggiorato la situazione?
Noi riteniamo che esso possa almeno funzionalmente risolvere quell’antipatica diatriba tra voi che volete la vostra elettronica da ‘squagliati’ e quei tamarri che chiedono fastidiosamente a viva voce robe da charts.
Si, è questo il momento giusto per Another Eternity, con il vocoder che inesorabile alla fine arriverà – era solo questione di capire su quale traccia – così come le tastiere eurodance, insinuate subdolamente tra voci lontane e ritmiche tormentose; tutto l’immaginario synth-pop degli anni dieci di ambedue le sponde (sia quello biondo che quello black) è qui.
Come non odiarli i Purity Ring, soprattutto quando vorresti odiarli a prescindere, con tanto di superficiale pregiudizio verso i perfettini, puliti accademici della crusca del pop contemporaneo? Perchè questo è decisamente un monumento al ‘contemporaneo’ e tanto basta per non chiamarlo mai più future-pop.
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autore: A.Giulio Magliulo