A due anni di distanza dal precedente lavoro Ceci n’est pas un EP, Marco Ghezzi (piano e voce) e Gianluca Perucchini (batteria), il frizzante ed energico duo bergamasco che costituisce i Sakee Sed, escono con il loro terzo album Hardcore da Saloon, con tredici tracce che dimostrano la ricerca dell’evasione da una realtà stazionaria e monotona verso una nuova dimensione sonora, guidata dal suono di un pianoforte elettrico, di una batteria e della voce di Marco.
Hardcore da Saloon è tutt’altro che quello che lascia suggerire il suo ironico titolo: non è hardcore, e non è per ambienti gretti come quelli di un malfamato saloon. E’ al contrario un disco complesso, fatto di rock viscerale, dinamico, dove i due strumenti sono arricchiti continuamente e incessantemente da mille altre soluzioni sonore, sovraincise per la maggior parte dei casi, tra cui chitarre elettriche, archi ed altri effetti.
Pejote al Sole, il primo vero brano dopo l’inroduzione di HCDS, mette subito in mostra le caratteristiche e le potenzialità del disco: in alcuni momenti il dialogo musicale tra batteria e piano ricorda momenti jazzistici, ma i due non vogliono fermarsi qui e dunque aggiungono altre linee di piano, la chitarra o, come accade in La fuga di Barnaba, anche il basso, quando serve una struttura più squisitamente rock come sin dall’inizio si dichiara essere questo pezzo, uno dei loro migliori.
Fuoco alle fiamme, sin dall’intro, conferma e consolida una impressione che hai sin dal primo ascolto delle prime note: pensi a qualcosa di già sentito e sepolto nella storia discografica italiana passata, e finalmente ti viene in mente: l’andamento della canzone, e la linea di canto di Ghezzi, richiamano esplicitamente i primissimi Litfiba, quelli degli Ep e del primo album Desaparecido, ovvero quanto di meglio probabilmente è stato prodotto dalla musica italiana negli anni ’80.
Ecco, nei loro momenti migliori il duo Ghezzi-Perucchini ricorda proprio loro, i mitici Litfiba dell’underground fiorentino dei primi anni ’80, prima che fossero inquinati dal mainstream: questa eco ritorna fortissima in Panama (forse il loro pezzo migliore, che cita anche nel titolo un vecchio hit di Pelù e compagni), in Markala e Siluro, ovvero nei pezzi più esplicitamente rock del duo.
In Beck and Musical, il primo singolo, e in Hangover in Bristol e Hard Tornado, pur senza perdere di vista la struttura rock data principalmente dal ritmo martellante della batteria di Perucchini, il sound ricorda invece di più i Subsonica, e la loro ricerca di contaminazione con l’elettronica.
Possiamo dire che l’album tutto si muove fra questi due binari, e vi si muove bene: emerge soprattutto l’ottimo lavoro di produzione, che ha trasformato un impianto di semplicità di due strumenti in pezzi dalla struttura complessa, ricca di sonorità, piena di trovate e soluzioni come cambi di ritmo e cambi di strumenti. Due ottime ballate dolci e leggiadre come Primula e Quella dei Merli completano sotto tutti i punti di vista l’album già prezioso.
Meno all’altezza del tutto sono i testi di Marco Ghezzi: cercano di muoversi tra poesie e racconti ma il significato è spesso volutamente ermetico, anche troppo, nel senso di lasciare nell’ascoltatore un vuoto che non viene colmato.
I Sakee Sed a dicembre si sono impegnati nei live, attesi da una prova non facile, quale quella di aprire i concerti dei Verdena a Verona, Torino, Livorno, nonché suonare nella loro patria Bergamo e a Carpi. Interessante la prova del live, anche perché sembra difficile riprodurre nelle esibizioni dal vivo tutta la ricchezza strumentale dell’album, e per forza bisogna attendersi una versione più semplice e scheletrica della trama sonora spesso evoluta e complicata dei vari brani.
Tanto più stimolante dunque l’idea di vederli dal vivo, e assaggiare il loro rock evoluto e ispirato in presa diretta. Da seguire con attenzione!
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autore: Francesco Postiglione