“Di Lina mi piacevano la visione della creatività come forme di lotta politica, la libertà con cui costruiva la propria immagine, il suo look multiforme, androgino, dark, punk rock. E mi interessava l’approccio delle Nemesiache alla napoletanità, il loro radicamento nel territorio che però rifiutava il folclore e altre visioni riduttive di Napoli” sono le parole della giornalista Nadia Pizzuti in un’intervista rilasciata ad Alias, inserto culturale del Manifesto. L’autrice di Lina Mangiacapre, artista del femminismo, documentario dedicato alla poliedrica artista e filosofa napoletana Lina Mangiacapre, presentava in quell’occasione la campagna di crowdfunding che ha consentito la realizzazione del suo documentario, effettuata attraverso la piattaforma Produzioni dal Basso e il contributo di 23 persone per un importo di poco superiore ai duemila euro .
Personaggio multiforme, il “pensiero – essere” di Mangiacapre sfugge alla superficialità d’analisi, mostrandosi come fenomeno complesso che s’impone per l’arduità della sua interpretazione. Un lavoro che non può essere realizzato fuori (e oltre) lo spazio- tempo da lei vissuto.
È probabilmente sulla base di un tale presupposto che Nadia Pizzuti, giornalista prima che regista (prima corrispondente donna della stampa internazionale accreditata nell’Iran post-rivoluzionario, negli anni Novanta ha diretto la sede dell’agenzia ANSA a Teheran), ha concepito il suo documentario dedicato alla creatrice del collettivo delle Nemesiache. Un lavoro che pecca di didascalismo, rivelandosi superficiale e non in grado di dare fiato alla voce del transfemminismo. Eppure, Pizzuti non è estranea al mondo del femminismo. Di più, pare che la sua carriera da cineasta sia contrappuntata dalla sua vicinanza al movimento per le donne. A partire dalla fine degli anni Novanta, infatti, scrive e realizza alcuni cortometraggi con il gruppo femminista romano ‘Una volta per tutte’, tra cui Carte false, presentato al Festival internazionale del film lesbico e femminista di Parigi, e Vicine di casa, dedicato alle donne della ex Jugoslavia. Ma è quando si chiude alle spalle l’esperienza all’ANSA (nel 2011) che l’ex redattrice comincia a dedicarsi pienamente all’arte del sogno, realizzando il documentario Amica nostra Angela, imperniato sulla filosofa femminista Angela Putino, opera che nei fatti ha aperto la strada alla realizzazione del film su Mangiacapre (entrambe, tra l’altro, sono napoletane). È stato l’incontro con Teresa, sorella di Lina e artista a sua volta, e con due allieve di Putino, Tristana Dini e Stefania Tarantino (compositrice e musicista) a spingere la Pizzuti a indagare la figura di Mangiacapre. Una donna che ha fatto del suo corpo la tela sulla quale tessere il suo progetto di rivoluzione politica. Un disegno che seppur non rifiutando le icone del movimento femminista (il triangolo, soprattutto, impera), facendo del corpo il suo perno (la Mangiacapre è all’avanguardia delle performing arts) trascende da esso, proponendosi come visione alternativa sia al femminismo che al marxismo e fondando la propria azione rivoluzionaria sul ricorso all’arte come strumento di lotta politica. Malina, Nemesi, Pentesilea, Faust-Fausta: sono alcune delle identità vestite dalla camaleontica artista partenopea che ha attraversato il ‘68, “scagliandosi contro assetti costituiti e rovesciando tradizionali modi di intendere lo stesso dipanarsi del pensiero logico. Infine andando a immergersi nella materialità della propria esistenza per rendersi crocevia nomadico e contaminato di ciò che lambisce e la circonda; prima di tutto il territorio napoletano in cui vive e di cui riconosce la radicalità nella sua azione politica. Da qui in poi il corpo, l’invenzione, la relazione con il vivente ma anche la sessualità e la pratica della propria libertà stanno al centro, in costante trasformazione” come sostienee Alessandra Pagliaru dalle colonne di Alias. È nel 1970 che fonda il collettivo femminista le Nemesiache, non solo un gruppo di femministe, bensì una realtà che si ricollega a Napoli, a Cuma, alla Sibilla. Riferimenti al passato che nella ricerca di Mangiacapre e delle sue sodali si fa il cordone ombelicale attraverso il quale è alimentato il presente e che attraverso l’azione artistica e quindi politica, diventa demarcazione, confine da recidere nell’opera di confinameno della cultura partenopea sotto l’egida della sua “napoletanizzazione” in salsa puramente folcrorica.
È in questo quadro che nasce la riflessione e riscrittura delle Nemesiache del mito, un’operazione filologica alla scoperta dell’origine del male, ovvero dell’affermazione del maschile sul femminile, tassello lungo il quale si è sviluppata la poetica, ovvero la visione mangiacapriana, e che vede il suo atto finale in Faust-Fausta e il transfemminismo. Un viaggio che fa del corpo e del suo superamento il suo fondamento e che la Pizzuti si è limitata a riportare senza mettere in atto alcuna dialettica con quei vissuti dai contorni mitici. Un portento, che come affermò Dacia Maraini nella sua prefezione all’opera Pentesilea sembrava non appartenere “al mondo degli umani, ma a quello delle fate, degli elfi, degli gnomi, degli spiriti bizzarri e imprevedibili”. Ed è proprio ciò ad apparire come l’aspetto dominante dell’opera della Pizzuti, quel continuo insistere sull’esile corpo della Mangiacapre, one woman show del documentario a lei dedicato, – come è ovvio che sia, qualcuno direbbe -, se non fosse che in tal caso, quell’incedere si fa facile negazione della complessità di un fenomeno complessivo di cui l’artista era sintesi oltre che artefice. Pizzuti ha affermato di aver preferito realizzare un film prevalentemente di montaggio, ovvero un’elaborazione creativa delle immagini e dei testi della performer. Sarà, l’impressione invece è quella di trovarsi di fronte ad un progetto piano, senza alcun tipo di elaborazione concettuale e che anzi segue in chiave cronologica la parabola dell’artista.
Quattro le parti che sin dalla iniziale elaborazione, presentata sulla piattaforma di crowdfunding Produzioni dal Basso, avrebbero composto il film: Transfemminismo (concetto derivante dall’identificazione di Lina con la figura dell’androgino); Corpo Mare (denuncia dell’inquinamento ambientale e riappropriazione artistica del territorio mitico-archeologico e contemporaneo a Napoli e ai Campi Flegrei); Ci sono guerre sorella che non si possono non combattere (la storia militante di Lina dopo il ’68, l’arte come strumento politico, le manifestazioni femministe, il lavoro con le donne ricoverate nell’ospedale del Frullone a Napoli, le performances e le azioni teatrali assieme alle Nemesiache); Il cinema sarà la nostra vendetta (La ricerca di Lina sul cinema come “sintesi di tutte le arti”, la rassegna femminista di Sorrento, i suoi film). Un lavoro che si è avvalso esclusivamente del lavoro femminile (le composizioni di Stefania Tarantino, la fotografia di Emanuela Pirelli, l’aiuto regia di Lina Cascella e il montaggio di Sara Pazienti) e che trova esaltazione grazie alla colonna sonora del gruppo femmista tedesco Flying Lesbians.
https://www.facebook.com/Lina-Mangiacapre-Artista-del-femminismo-361130250732887/
https://www.produzionidalbasso.com/project/lina-mangiacapre-artista-del-femminismo/
autrice: Michela Aprea