Uno dei problemi con cui deve confrontarsi la società contemporanea, è la velocità dei cambiamenti. É infatti indubbio che stiamo vivendo un’epoca in cui questi ultimi sono in piena accellerazione, come naturale portato del fatto che l’evoluzione tecnico-scientifica si nutre dei propri progressi, e quindi quanto più si espande, tanto più velocizza i propri processi.
Ad aggravare il problema, in alcuni paesi, c’è quello – per certi versi parallelo – dell’invecchiamento della popolazione; laddove, come in Italia, l’età media della popolazione continua a crescere, in virtù sia dei progressi in campo sanitario ed alimentare, sia della decrescita demografica, si genera quindi un rallentamento nelle capacità di metabolizzazione dei cambiamenti.
E per quanto le società opulente godano ancora dei vantaggi derivanti da decenni di scolarizzazione di massa, e da elevati standard di benessere socio-economico, la spinta demografica dei paesi terzi è così forte, così come la loro crescita economica, che non tarderà molto prima che il gap che li separa sia colmato.
Diventa pertanto di grande rilevanza, pena la condanna al declino, che si faccia tesoro degli attuali vantaggi (economici, ma anche sociali e culturali), per progettare il futuro.
Ciò vale anche per tutto quanto attiene alla sfera dei beni culturali, ed è di particolare importanza per il nostro paese, che non solo ne è ricco, ma che non può prescinderne assolutamente nella definizione di una prospettiva futura.
In particolare, merita una riflessione approfondita la questione dei musei.
Fondamentalmente, l’idea predominante – nella società così come tra gli addetti ai lavori – è tutto sommato ancora novecentesca, magari aggiornata da innesti tecnologici e/o socio-culturali, ma comunque interna alla concezione definitasi nel secolo scorso.
Ragionare in termini di lungo periodo, dunque, è assolutamente necessario, anche in virtù della summenzionata difficoltà a tenere il passo con le mutazioni della società. Occorre quindi partire da una valutazione del contesto in cui verranno a collocarsi i musei, affinché si possa ripensarne opportunamente il ruolo e – quindi – la natura.
Ci sono due elementi di medio-lungo periodo, assolutamente imprescindibili per disegnare questo contesto.
Da un lato, abbiamo una prospettiva di riduzione della capacità pubblica di spesa. Non si tratta infatti di una contingenza di breve periodo, destinata ad essere superata nel volgere di qualche anno, ma di un trend stabile, che caratterizzerà almeno i prossimi 10/15 anni, e quindi inevitabilmente destinato a riflettersi anche sul decennio successivo – giacché nessuna ripresa potrebbe essere istantanea, e comunque avrebbe necessità di un certo lasso di tempo per produrre i suoi effetti.
Dall’altro, abbiamo la crescita impetuosa dell’automazione, che non è più soltanto la robotica applicata alla grande produzione industriale, ma si espande verso il settore dei servizi alla persona, e già si affaccia su quello delle produzioni intellettuali, laddove nuovi algoritmi di intelligenza artificiale vanno a sostituirsi al lavoro cognitivo umano.
Se il primo elemento va ad incidere sulla capacità di investimento, il secondo va ad incidere sulla capacità di consumo. Il tasso di inoccupazione è destinato a crescere, tanto più in società longeve, dove le possibilità di riqualificazione professionale sono oggettivamente più complesse.
La combinazione di questi due fattori, infine, genera un potenziale altamente esplosivo, perchè con ogni evidenza un welfare come lo abbiamo visto lungo il secolo scorso è difficilmente replicabile. L’unica strada per prevenire l’implosione, economica e sociale, sarà perciò quella della riduzione del tempo di lavoro, a parità (sostanziale) di reddito. Sarà questa, con ogni probabilità, l’unica via praticabile per attuare una redistribuzione del reddito che consenta di non far collassare le società basate sul mercato.
Questa prospettiva, in un quadro generale caratterizzato dalla contrazione dei livelli di benessere, avrà però un effetto significativo: una considerevole liberazione di tempo.
Appare quindi evidente che il consumo culturale è destinato a crescere, proprio in virtù della crescita del fattore primario di opportunità: il tempo di consumo, appunto.
In questo contesto, la funzione del museo può (tornare ad) essere pedagogica. Ovvero non luogo di mera conservazione di beni artistici, né di mera esposizione degli stessi. Ma luogo di trasmissione del bene cultura.
A patto però di un radicale ripensamento dei suoi paradigmi strutturali e comunicativi. All’interno dei quali avrà sempre meno importanza la quantità, a favore della qualità; il cosa a favore del come.
Non sarà sufficiente adattare la filosofia costitutiva dei musei alle modalità comunicative rese disponibili dalle nuove tecnologie, né tantomeno lasciare che siano queste a determinare forme e contenuti. Sarà invece necessario immaginare una nuova funzione per l’istituzione museale, ed a partire da questa riprogettare nuovi allestimenti, nuovi format comunicativi – nuove strutture museali, se necessario.
Il museo deve trovare la sua funzione nella società a venire.
É pertanto necessario che, prima d’ogni cosa, si riesca a definire i contorni di questa società futura. Il dibattito sul museo del futuro / sul futuro del museo, quindi, deve uscire dai musei stessi. Naturalmente, è a partire da chi lavora in/con queste istituzioni culturali, che si avvia e si anima la discussione. Ma essa deve coinvolgere la cittadinanza, proprio perchè il museo deve essere percepito come un bene comune, un luogo di appartenenza, che sappia interagire con il più ampio spettro di utenti. A partire proprio dal pensarlo come utenza e non come pubblico. Ovvero luogo in cui si usufruisce di un servizio – e lo si fa in modo partecipativo – e non semplicemente si assiste – in modo passivo.
Capire cosa possa e debba offrire alla propria comunità, come si integri con questa, è la priorità. Come esercitare poi questo ruolo organico, non può che essere un passo successivo.
Altrimenti si rischia che sia la tecnica a dare forma ai contenuti.
Come diceva lo storico dell’arte Erwin Panofsky, “the future is constructed out of elements of the past – nothing appears ex nihilo”. A partire dunque da ciò che sappiamo, proviamo ad immaginare ciò che saremo, e quindi anche come dovrà essere il museo dei decenni a venire.
É una sfida che ci riguarda tutti.
autore: Enrico Tomaselli