Ed Askew può essere considerato un outsider della musica americana che ha magari raccolto meno di quanto meritato in termini di notorietà a causa forse del carattere mite, del disinteresse per la grande ribalta, del ritmo poco serrato di pubblicazioni discografiche e tournée, della scelta di trascorrere buona parte della sua vita a New Haven e di coniugare la musica con pittura ed insegnamento.
Stasera all’età di 74 anni, forte di un repertorio costituito da brani di spessore, Askew presenta la sua musica a Napoli, al Riot Studio, accompagnato dal pittore ed illustratore Jay Pluck (tastiera, cori) e da Tyler Evans (chitarra elettrica), con una strumentazione dunque scarna ma appropriata per i brani cantautorali, talvolta naif, sbilenchi, alternativi e psichedelici ma che d’improvviso svoltano verso una forma melodica classica, romantica, crepuscolare ma ariosa dai toni lirici imponenti, letterari, coheniani.
Impiega qualche brano stasera Ed Askew a scaldare la voce, seduto al centro del palco col leggio davanti, cappello in testa, un centinaio di spettatori, e parte subito con una quaterna importante: ‘Blue Eyed Baby’ (2008), ‘Friends and Lovers’ (1996), ‘In America’ (2011) ed ‘Art & Life’ (1996) nei quali rifinisce ogni tanto la musica con l’armonica a bocca e comincia a far breccia con testi che a dispetto della musica essenziale e compassata guardano lucidamente ed acutamente la vita, le persone, le situazioni da prospettive laterali, entrando nei dettagli, con umanità e la sottile amarezza di chi ha imparato a fare spallucce di fronte a ciò che non va ma bisogna comunque accettare in qualche modo, pur senza perdere una forma di purezza che è elemento molto presente nella musica di Ed Askew, oltre che nel suo personaggio.
Con ‘Orange’ (2013), ‘Clint Eastwood’ (2012), il cavallo di battaglia ‘Ask the Unicorn’ del disco d’esordio del 1968 e soprattutto con ‘Roadio Rose’ dall’ultimo disco For the World del 2013 su cui hanno suonato ospiti Marc Ribot e Sharon Van Etten, l’empatia tra musicisti e pubblico diventa sempre più forte; piacevole il primo bis ‘Drum Song’, ballata marinara irish per solo voce, cui seguono ‘Whiskey Neat’ ed ‘Hey Joe’.
Chiudiamo con le belle rime del ritornello di ‘Times like These’, a ribadirci così, semplicemente, che la musica fa bene all’anima: “everybody knows music heals the soul/ so sing for me before you go/ and when you pass this way again/ I’ll play music for you my friend/ so take it easy when you go/ in a new direction, on another road/ think of me when you lay your guitar down/ listen to the breeze and look around”, e l’uscita di scena tra forti applausi, dopo esser stato richiamato sul palco due volte dal pubblico.
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autore: Fausto Turi