Dopo infinite – e abilissime – variazioni sul tema dell’emo rock Novantiano, ecco che il “vero” e primario suono di questo stile torna finalmente – con tanto di blitz punkyes – a rifiatare per “bocca e suono” di Gudiya, secondo album dei June And The Well , quartetto al quale pare un gioco riprendersi la rivincita di rimettere le cose al proprio posto, riuscendoci tra l’altro alla grande, sfornando un tosto e melodico sei tracce che – tra un azzeccato ping pong istintivo di Mega City Four e Texas Is The Reason, refoli Pixies, passando per un J Mascis tonico – da un gusto cangiante e multiforme, geneticamente pronto per il main jump, più su dell’underground.
I quattro JATW rappresentano – dopo un accurato ascolto – un momento sonico di ottima creatività in avanti vivendo, poi di fatto, il retrogusto di quei 90, quell’indietro visionario e popolato, ma non con la consueta liturgia della malinconia distorta piuttosto con le potenzialità mischiate della ricerca, un’orgia di melodie e hook radiofonici dietro la quale vale davvero la pena abbandonarsi e drizzare le antenne!
L’intervento di Matilde Davoli (memorizzate questo nome) che anima vocalmente Slow, aggiunge sfoggio e atmosfera in surplus ad un disco carico di bellezza e umanità (il disco è un omaggio a Gudiya, bambina indiana vittima di un caso di stupro), e quando passa poi la ventata libera di Francis, lo snodato feedback di From the ashes of your heart o la scarica ombrosa che disegna Fountains, un senso di pienezza interiore insieme alla sensazione di aver ascoltato una intensità superiore a tanto altro ti accarezza le tempie.
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autore: Max Sannella