autore: Marco Mennillo
A 13 anni dall’ultimo album di studio gli Epsilon Indi dedicano, il proprio ritorno sulle scene musicali italiane, all’acqua e alle sue proprietà. La multiformità dell’elemento è infatti perfettamente rispecchiata dalla polimorfia del suono che muta attraverso le diverse canzoni del nuovo lavoro Wherein We Are Water, con alcune tracce che ricordano mari infiniti, altre che ricordano piccoli ruscelli, tra echi Pinkfloydiani (soprattutto la opening track «Dawn») e della coppia Eno/Byrne del periodo più sperimentale di “My Life in the Bush of ghosts”.
Maestria nell’esecuzione e nella gestione dei ritmi dell’ascolto rendono questo disco, se non di facilissimo ascolto, quantomeno interessante e capace di incuriosire grazie all’onda (sempre parlando d’acqua) delle diverse influenze.
Le canzoni che lo compongono sono ricche di momenti immaginifici, retaggio del passato della band che nasce come compagnia di spettacolo e danza, grazie a note che vagano in atmosfere ampie e avvolgenti, con liriche che leggono il nostro tempo declinando il ruolo dell’uomo all’interno di questo.
Chitarre atonali e ritmiche incalzanti e sorprendenti, esperimenti interessanti (come il “dialogo” tra mani e basso di «Blinking Hands», uno degli episodi sonori più curiosi dell’intero album, che sarebbe interessantissimo osservare dal vivo), antico e moderno uniti tra loro, archi spaziosi e linee sintetizzate tendenti al prog, uniti nello stesso lavoro discografico, sono il risultato del tentativo di una band di cambiare la propria epoca si riferimento e adattarsi ai giorni nostri, riuscendoci in maniera efficace soprattutto nelle composizioni esclusivamente strumentali, tra le quali spicca «Ocean Lullaby», prima delle tre tracce che chiudono in crescendo l’album e migliore composizione, da ascoltare magari mentre si viaggia in metro, in auto, in aereo, ma anche solo con la mente.