Quando si è forti si è forti. Ineccepibile secondo ibrido round sonoro della “progettuosa mente” di Stephen Brodsky – ora Mutoid Man – Bleeder, la risposta più che grandeur al precedente infuso sonoro chiamato Ape of God, partorito insieme alla band Old Man Gloom; il disco della (ri)conferma per questo pazzoide trasformista del rock, un excalibour di metal, prog, mathcore, post qua e post la con tutto il contorno di bailamme schizzato che fa tanto “caos” e contrappeso alla funambolica vena creativa di questo joker che sorprende ogni qualvolta fa cucù sulle scene delle distorsioni massificate.
Definito il Mike Patton delle periferie, lo statunitense Brodsky non si lascia certamente sottomettere da allusioni e paragoni a sottrazione, il suo è un universo più che capovolto dentro il quale gira di tutto e di più, una continua performance magnetica e apparentemente confusionaria. Ecco, magari vogliamo dire un concept sul casino programmato? Forse un delirio con il filo elettrico? Tutto fa brodo in queste dieci tracce, dieci fulmini a ciel sereno che bruciano – in un giro vertiginoso – qualsiasi cosa sia ferma, statica o similare.
Come un virus appiccicoso dentro il quale si odono echi Purpleani Bridgeburner, la doppietta stonerizzata alla QOTSA Reptilian soul, Sweet Ivy, bordate di cemento amplificato Raw Power style Surveillance o i mulinelli doom in cui vortica un sentore malefico del tipo Goatsnake Dead dream, il disco è una sinfonia infernale di belle cose che s’infiammano facilmente, come del resto la pressione sanguigna di chi – non schermato a dovere – si trova nel raggio d’azione di questo rotondo inferno prèt- à- porter.
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autore: Max Sannella