In barba ai detrattori, a quelli che dicono “roba di secondo taglio”, un disco del californiano Scott Weiland è comunque da tenere nelle grazie, è un prodotto da tenere stretto se piace una certa modalità rock da accarezzare e coccolare come un regalo inaspettato.
Qui con la backing-band dei The Wildabouts, l’ex leader vocal dei Stone Temple Pilots da alle stampe Blaster, undici inediti con la cover di 20th Century Boy di Marc Bolan più una bonus track ( una rivisitazione di The Jean Genie di Bowie) per un disco scorrevolissimo, un pop rock con qua e la fuoriuscite“grungey” che, anche se non passeranno mai alla storia, comunque possono allietare un viaggetto, un momentaneo rilassamento infrasettimanale o quant’altro possa “stordire” da stress quotidiano; ad ogni modo rock fatto con passione e professione, nulla in avanti – diciamolo con chiarezza – ma un perfetto calibro sonoro che riporta “on air” un altro progetto del musicista americano, quei Velvet Revolver che non hanno mai – in fondo sfondato – nella scena rock statunitense.
Brani che – anche nella apparente loro ingenuità – sono di peso, ben costruiti e di livello, non hanno la velleità di chissà quale “boom” ma che viaggiano spediti al centro dell’orecchio, lasciano a fine giro un bel senso di move-it che è un piacere doppiare o triplicare; la hit radio Hotel rio, l’hook da stadio Blue eyes, l’easy listening che gioca dispettoso in Beach pop e il ritaglio folk country di Circles, lasciano soddisfatti e col cuore pieno chiunque in questo artista dall’animo instabile hanno trovato e trovano un emblematico “figuro rockers” da proteggere, cha viaggia – da sempre – tra sfiga e incomprensioni.
http://www.scottweiland.com/
https://www.facebook.com/pages/The-Wildabouts/426895364062011
autore: Max Sannella