È l’Eutropia Festival ad ospitare la tappa romana del tour di “Horses“: il capolavoro di Patti Smith che nel 1975 apre la via al punk con il suo rock intenso e impregnato di poesia. Quarant’anni dopo, accompagnata dal figlio Jackson al basso, da Tony Shanahan al piano elettrico e dai fidi Lenny Kaye (chitarra) e Jay Dee Daugherty (batteria), unici superstiti del Patti Smith Group, la “sacerdotessa del punk” ripresenta nella sua interezza l’album che la fece conoscere al mondo e che, da allora, è diventato un’inesauribile fonte di emozioni e di ispirazione per generazioni di fan.
Sono infatti fan di diverse età e nazionalità ad affollare questa tappa romana in una calda sera di giugno. Quando sull’ex Mattatoio calano le ultime luci della sera, la rockeuse di Chicago prende possesso del palco. È una presenza sciamanica, la sua. L’attacco è con “Gloria” e con il verso che segnò a fuoco l’underground di New York a metà anni Settanta: Jesus died for somebody’s sins / but not mine… Rispetto al disco i ritmi sono più lenti, gli strumenti quasi sussurrano per dare risalto alla voce dell’artista americana che si staglia nell’aria e conquista con la forza della parola. Il levare reggae di “Redondo Beach” cede il passo all’atmosfera rarefatta di “Birdland“, con il piano di Shanahan elegante ed elegiaco, poi è la volta della cavalcata romantica “Free Money”. “Il lato A è finito, ora bisogna girare il disco”, dice sorridendo Patti Smith prima di snocciolare “Kimberly” e gli altri brani della B-side di “Horses”, inclusa la travolgente title-track.
“This song was written in memory of Jim Morrison” è l’introduzione a “Break It Up“. Poi la poetessa presenta l’ultimo brano dell’album, “Elegie“, composto per Jimi Hendrix: “E’ un pezzo per tutti coloro che abbiamo perso” e si inoltra per la sua personale Spoon River ricordando uno a uno i quattro Ramones, Allen Ginsberg, l’adorato marito Fred “Sonic” Smith, Jim Carroll, Robert Mapplethorpe, Lou Reed, John Nash…
Con “Elegie” termina “Horses” ma non il concerto. “Pissing in a River“, tratta dal secondo epocale album “Radio Ethiopia“, è dedicata a Pier Paolo Pasolini. Seguono “Privilege (Set Me Free)“, l’intima “Beneath the Southern Cross” e i classici “Because The Night” e “People Have the Power” che infiammano la platea. La band scompare per un attimo. Quando risale sul palco concede un unico bis ed è una versione potente e sguaiata di “My Generation” degli Who. Benzina gettata sul fuoco di un pubblico già ampiamente soddisfatto che non lesina applausi e dichiarazioni d’amore all’ultima sciamana del rock.
testo e foto: Roberto Calabrò