La sfrontatezza di Justin Hawkins & soci (The Darkness) di ripresentarsi con un disco – Last of our kind – come da marchio delirante, eccitante, fuori dalle righe e per di più ben suonato, ripaga i loro innumerevoli fan, un’apoteosi di Heavy, Hard Glammy condita dal falsetto che più di tutto contraddistingue questa formazione inglese e che riporta in alto le quotazioni (che oramai erano sottotono in maniera clamorosa) di un rock band “iperbolica”, dentro e oltre le valvole sceniche schizofreniche del glitter thing per eccellenza.
La formula e l’alchimia generale è pressappoco integra, magari qualche piroetta vocale in più, riff di chitarra spasmodici, colori sgargianti ed eighties al quadrato, praticamente una vena artistica classificata sotto il nome adult-oriented-rock, e del resto le influenze di grandi mostri come Queen in primo luogo Hammer & tongs, Boston, Def Leppard e tutto il cucuzzaro sono ben marcate e mai nascoste da escamotage subdoli.
Istrionici al massimo, i The Darkness in questi dieci brani incalzano e tirano fuori hooks canaglia insozzati anche da streetly rock lurido di smog, corse notturne lungo deserte tangenziali, autopiste immaginarie verso la libertà individuale e intossicate da ribellioni urbane, e quando arrivano all’orecchio pezzi come il running esasperato Open fire, la titletrack, lontani AC/DC (Mudslide), e le immancabili ballate strizza cuore Wheels of the machine, Conquerors, si perdona tutto a questi eroi capelluti, esagerati, imperterriti che della decadenza amplificata, dei fuochi pirotecnici e delle maschere di onnipotenza ne fanno energia malinconica e ricordi duri a morire.
https://www.facebook.com/thedarknessofficial
http://thedarkness.co.uk/
autore: Max Sannella