Con “Breaking Sound“, debut-album da poco uscito via Gas Vintage Records, e soprattutto con gli innumerevoli concerti su e giù per la Penisola, i Big Mountain County stanno facendo parlare di sé. Quartetto di base a Roma, ma in realtà con provenienze – geografiche e musicali – diverse, i BMC hanno esordito discograficamente nell’autunno 2013 con un sette pollici di tre brani che si muoveva su territori rock’n’roll ubriachi e urticanti. Un anno e mezzo dopo ecco Alessandro Montemagno (voce, chitarra), Francesco Conte (chitarra, organo), Bruno Mirabella (batteria, percussioni) e Bob Colella (basso) tornare in azione con un LP che vede la formazione capitolina dirigersi brillantemente verso una psichedelia ipnotica e ricca di sfumature, pur lasciando emergere qui e là frammenti di quel suono rock’n’roll che rimane nel DNA del gruppo.
Nel momento in cui i Big Mountain County stanno per lanciarsi in un nuovo lungo tour in Italia e all’estero, abbiamo intercettato il bassista e portavoce della band, Bob Colella (ex Ultra Twist e storico conduttore del programma radiofonico “La Cantina del Rock”), per saperne di più di questa nuova interessante formazione venuta fuori dalle viscere del nostro underground.
Vi siete formati nel 2012, provenendo da diverse esperienze garage-punk e psych del nostro underground come Boilers, Ultra Twist e Magic Cat. Il vostro primo sette pollici aveva ancora un tiro rock’n’roll deviato e sbilenco. Qual è il percorso che vi ha portati al vostro primo LP, “Breaking Sound”?
Il sette pollici è stato registrato nell’estate del 2013, un paio di mesi dopo aver allargato la formazione a quattro elementi. Il garage punk era il nostro terreno di coltura comune e ci è venuto naturale e spontaneo andare in quella direzione. Da allora è partito un viaggio musicale che si è arricchito di sonorità, di esperienze e di tanto tempo passato assieme a scrivere, arrangiare, ricercare. Ci siamo messi subito in discussione auto organizzandoci un tour nei Balcani, nei paesi dell’ex Jugoslavia dove, da perfetti sconosciuti, abbiamo suonato in squat, locali, bar, riscontrando un’ottima risposta da parte del pubblico. Nella primavera del 2014 siamo ripartiti per un secondo tour europeo che ci ha portati fino a Berlino.
Nel frattempo abbiamo continuato a lavorare incessantemente su nuove canzoni, nuovo materiale, nuovi suoni, rendendoci conto che, se da un lato andavamo verso una direzione più psych, dall’altro rimanevamo fedeli al nostro background musicale quanto mai eclettico. Il disco è il risultato di questo percorso.
“Breaking Sound” è stato concepito alle pendici dell’Etna e poi registrato a Roma. Vorrei sapere che esperienza è stata in generale e cosa ha apportato al vostro suono la presenza dei parecchi ospiti che compaiono sul disco?
La scorsa estate abbiamo trascorso dieci giorni in un posto magico immerso nel verde con il grande vulcano in eruzione sopra di noi. Si tratta di una villa in cui abbiamo vissuto 24 ore al giorno praticamente insieme. Nella cantina abbiamo sistemato strumenti e amplificatori e cablato il tutto per suonare e registrare. Ci sentivamo molto liberi e creativi. Avevamo parecchio materiale composto in precedenza, ma ci siamo concentrati su nuove idee, che sembrava fossero dappertutto. Non ci siamo posti limiti. La scena musicale catanese è storicamente feconda: agli amici che venivano a trovarci facevamo ascoltare il materiale su cui stavamo lavorando e davamo loro la possibilità di contribuire agli arrangiamenti. In questo modo il disco si è arricchito di una viola, un Hammond, cori e chitarre, ma soprattutto di soluzioni nuove e originali. La sera organizzavamo grandi cene sul terrazzo della villa e riascoltavamo le take del giorno, condividendo idee e impressioni. È stata un’esperienza cruciale e, dopo aver tenuto un concerto sulla spiaggia di Catania, ci siamo salutati sapendo che la linea era tracciata. A fine ottobre siamo entrati al Gas Vintage Studio di Roma e, con Teo Pizzolante ai controlli e Valerio Mirabella alla produzione, in due settimane abbiamo registrato e mixato l’album.
Rispetto al vostro omonimo singolo d’esordio, “Breaking Sound” vira decisamente su territori psichedelici pur mantenendo un legame sottile ma evidente con le vostre radici rock’n’roll, garage e punk. È un disco ricco negli arrangiamenti e fantasioso nelle soluzioni sonore. La scena psichedelica contemporanea (Tame Impala, Black Angels, King Gizzard, Pond, ecc.) vi ha in qualche modo influenzati?
Questi gruppi ci piacciono molto! Siamo tutti e quattro grandi divoratori di dischi e frequentatori di concerti, e le nostre influenze sono dappertutto: dalla California dei Sessanta ai Velvet Underground, da Nick Cave a quasi tutto ciò che è stato scritto, suonato e registrato a Detroit. Ci piacciono i Gun Club e tutto il suono americano degli anni ’80 passato attraverso la centrifuga del punk. Amiamo gli Stones, Os Mutantes, il vecchio rhythm’n blues, il folk allucinato, Neil Young. Ma anche il funky, il soul e Fela Kuti. “Breaking Sound”, nel suo eclettismo, riflette il nostro amore per la musica a 360 gradi: abbiamo provato a mantenere un filo rosso tra canzoni diverse, in cui venisse fuori il sound BMC. Speriamo di esserci riusciti!
Un altro elemento fondamentale dei BMC è l’essere costantemente ‘on the road’. Non sono tante le band emergenti oggi a macinare i chilometri come state facendo voi con concerti su e giù per l’Italia e frequenti puntate anche all’estero. Cosa rappresenta la dimensione live e quella del viaggio/tour per i BMC?
Suonare dal vivo è fondamentale. Oggi esisti perché suoni. Abbiamo intuito le potenzialità del gruppo durante il primo tour. Dal vivo si crea quella magia e quell’alchimia che ci porta a crescere come band e come persone. Amiamo viaggiare e amiamo farlo insieme. Il giorno in cui prendi un furgone lo carichi e parti per andare a suonare è sempre un gran giorno! Come a tante band ce ne capitano di tutti i colori e suoniamo nei contesti più disparati. Sapersi adattare è fondamentale, capita di suonare in condizioni semiproibitive e con 15 ore di viaggio alle spalle. Se riesci a fare un buon live in questi contesti, puoi suonare dappertutto. Poi, per quanto possibile, cerchiamo di vedere i posti in cui andiamo: dalle bellezze architettoniche e naturalistiche ai negozi di dischi di musica indipendente.
Come si evolverà in futuro il suono dei BMC e quali saranno le vostre prossime mosse?
Stiamo promuovendo il disco con date in Italia, stiamo per imbarcarci in un nuovo tour europeo prevalentemente in Francia a giugno e stiamo lavorando per i prossimi mesi che saranno molto intensi nell’attività live. Contemporaneamente stiamo continuando a scrivere e arrangiare nuovo materiale. L’idea è di continuare sulla falsariga di ciò che stiamo facendo. “The future is unwritten”, ma stiamo provando a fare che sia molto interessante per il progetto BMC.
Un’ultima curiosità: da dove nasce il nome Big Mountain County?
L’idea è quella di mettere su una contea che accolga sonorità, spunti, persone, esperienze, un po’ come è successo proprio per “Breaking Sound”. Un posto dove poter suonare e condividere esperienze di vita comuni. Tre dei componenti del gruppo sono legati biograficamente al concetto di “Grande Montagna”. Il nostro chitarrista Francesco viene dalle zone del Gran Sasso e della Majella, mentre Alessandro e Bruno sono cresciuti alle pendici dell’Etna.
http://bigmountaincounty.com/
https://www.facebook.com/BMC.BigMountainCounty
autore: Roberto Calabrò
foto: Fausto Barrica Cantone