Cinque anni lontana dagli studi e dai palchi, Carmen Consoli ritorna con un nuovo album “L’abitudine di tornare” (Universal Music), appunto. Abbiamo incontrato la Carmen prima del suo concerto napoletano del ventotto aprile scorso.
Carmen Consoli si conferma disponibile ma soprattutto appare saggiamente più sicura, sia umanamente che artisticamente.
Il suo tour nazionale continua, seguite le tappe sul sito ufficiale e troverete anche una chicca: è l’unica italiana a suonare al prestigioso festival londinese Meltdown che vede David Byrne alla direzione artistica.
Ciao Carmen, cominciamo subito con una curiosità: chi è la Carmen Consoli che torna dopo cinque anni di assenza?
Spero la stessa almeno geneticamente! (ride) In realtà sono passati solo cinque anni. Oggi un lustro sembra un lasso di tempo infinito in realtà sono soltanto cinque anni. Ai miei tempi, io sono del ‘74, cinque anni rappresentavano un tempo giusto per poter avere distacco da ciò che si era fatto precedentemente ed elaborare delle nuove idee e delle nuove concezioni della musica, di se stessi, dei testi che si scrivono e delle tematiche che si vogliono elaborare. Quindi mi sono presa cinque anni, un tempo abbastanza lungo in effetti. Oggi però tutto deve essere consumato in fretta. In questa società dei fuochi di paglia, il tenersi sempre accesi sembra essere diventato un obbligo. E siccome io sono pigra fondamentalmente, ‘sta cosa di tenersi sempre accesa mi mette ansia quindi preferisco ardere sotto terra.
In fondo è anche la scommessa fatta col mio produttore. Se uno costruisce una carriera pensando alla carriera e non al presente, in modo lungimirante, tutto sommato può diventare un piccolo vulcano. Giusto per fare una metafora vicina alle nostre terre (Catania e Ercolano, nda).
Torni con musica nuova, testi nuovi anche nei contenuti. Contenuti che hai raccolto nella tua lontananza dal palco. Com’è nato “L’abitudine di tornare” e che cosa c’è dentro? Cosa voleva dire Carmen Consoli al suo ritorno?
L’abitudine di tornare non coinvolge soltanto me come donna e come artista, ma coinvolge tutta l’umanità in una dinamica di corsi e ricorsi vichiana. Questo è un dato di fatto. Io cerco di sottolineare il fatto che nel tornare, in questa ciclicità, si vuol ritornare ai luoghi di sempre, ma arricchiti perché nel tragitto può succedere qualcosa che ci riporta sempre alle origini però con qualche elemento in più in modo da poter guardare con occhi diversi i luoghi in cui ritorniamo.
Giri con tante donne, sia tra musicisti che tecnici, tanti anni fa ricordiamo il tour fatto con Marina Rei e Paola Turci. Secondo te c’è ancora “maschilismo” nella musica? È ancora più difficile per una donna suonare in una band?
Quando ho selezionato i musicisti non ho fatto una distinzione di genere. È capitato. È capitato che il tipo di sound che volevo poi appartenesse a delle donne. Non faccio discriminazioni con gli uomini, anzi ne ho tanti uomini intorno. Credo che in questo campo ci siano poche donne perché la donna ha altre vocazioni non perché non ci venga data la possibilità. Adesso stanno suonando molte donne. Con Fedez stanno suonando delle donne. Le donne che suonano e che suonano bene, lavorano. In questo non vorrei fare vittimismo. Certo a volte si dice “suoni bene per essere una donna”…
Sempre da donna, in “La signora del quinto piano” si punta l’attenzione sul femminicidio, tema che puntualmente sale alla ribalta della cronaca e poi altrettanto puntualmente viene dimenticato. Secondo te è un tema sottovalutato?
Il femminicidio è una cosa molto grave! Vorrei, però, scomodare un altro concetto: la prevaricazione del più forte sul più debole. Non sono solo le donne a subire, i più deboli stanno subendo questo deterioramento culturale che da circa vent’anni è questo paese stesso a subire. Sono cambiate le priorità. Stasera citerò una frase di Peppino Impastato: “Se si insegnasse la bellezza alla gente, la si fornirebbe di un’arma contro la paura, l’omertà e la rassegnazione”. Lui legava il concetto di bellezza a tutto ciò che ha un valore sociale. I nostri governi, però, hanno sempre puntato su altro. Noi ci siamo sentiti dire che non si può vivere di pane e Divina Commedia e cose simili. Questa violenza che è stata fatta all’evoluzione delle persone, in un paese che deve vivere di cultura, porta a questi istinti bassi: “tu non rifletti ciò che io desidero da te? Allora io t’ammazzo”, oppure “tu sei un figlio nato non secondo i miei criteri di narcisismo? Io ti butto nella spazzatura”. Le donne sono deboli. I bambini sono deboli. Io andrei oltre il femminicidio e parlerei della violenza dei più forti sui più deboli. Una prevaricazione che ha un sapore vagamente nazi-fascista, da squadriglia che ti pesta perché sei inferiore.
Altro tema scottante, il tema che forse (ahimè) più unisce le nostre terre alle tue, è il rapporto tra mafia e Palermo che descrivi in “L’esercito silente”. Lo esprimi con una frase molto bella “lo stato assai spiacente posa una ghirlanda tricolore con su scritto sopra assente”. Che cos’è per te la criminalità organizzata? Come l’hai vissuta anche da piccola?
Io sono del ’74 e ho quest’immagine. Vengo da San Giovanni la Punta (provincia di Catania, nda), terra in cui, come sapete, le cosche mafiose si spartiscono le zone. A cinque anni vedevo un morto per terra coperto con un lenzuolo e chiedevo: “Papà, cos’è?” – “Morto ammazzato”. E lo vedevo tre volte alla settimana. Io sono per metà veneta e una volta c’era una persona morta in un incidente e io esclamai “Uh! Un morto ammazzato!” e mi hanno guardato tutti malissimo. Per me l’immagine era quella. Io l’ho vissuta con i soliti “attenta a non passare da quella strada perché altrimenti…”, “attenta a non frequentare questo ragazzo, non perché non sia un bravo ragazzo, ma perché se c’è una faida, ci finisci in mezzo.”, “stai attenta” a questo, a quello…
Poi le cose sono cambiate. C’è stato un periodo in cui le cose sono veramente cambiate. Ed è stato il periodo in cui i giudici stavano agendo. Poi la cosa non è piaciuta e siamo tornati alla libertà di questi criminali, anche grazie a qualche piccola legge in loro favore. Esempio, “Questo giudice ce l’ha con me, cambiamo giudice”, ecc. ecc., così per 15 anni, poi c’è la prescrizione. Queste cose le sappiamo. Io ricordo una Catania che stava emergendo, una Catania che aveva sanato tutte le zone infestate dal cancro della mafia e che ricominciava a vivere. La fioritura dei caffè concerto, gli universitari in piazza. Là dove c’era la musica, là dove c’erano i ragazzi, non c’era più delinquenza. Cominciavamo a illuderci che Catania e Palermo potessero rappresentare un rinascimento per tutto il mondo. Catania cominciava ad avere le prime scuole di preparazione di management frequentate da tutto il mondo perché era un’eccellenza. La Triennale d’arte contemporanea. La Catania d’allora pensava che la cultura potesse essere anche una risorsa economica. E così fu. Catania, investendo sulla cultura, diventò ricca. Noi cominciammo a nascere suonando qua, suonando là, a destra, a sinistra. Io sono partita da Catania perché in quel momento era la città più moderna d’Italia. Fu il mio trampolino. Io non dovetti andare via e cercare fortuna da un’altra parte. Poi, tutto ad un tratto, questo sogno è finito, con un messaggio chiaro. Anzi, due messaggi chiari (le stragi di Capaci e via D’Amelio, nda). Due cose molto brutte che ci hanno fatto capire che in fondo non era così come la immaginavamo. Noi cosa possiamo fare? Quello che dice Peppino Impastato, quello che dicono tutti: “un esercito di maestri toglie una terra dalla mafia”. È così, la cultura è un altro tipo di priorità. La cosa più mafiosa che abbiamo fatto è stata proprio la distruzione della cultura e di tutto ciò che stava aiutando le nuove generazioni ad avere priorità diverse. Perché un ragazzo che studia la poesia e che capisce la bellezza profonda delle cose, non si abbassa a fare cose che non sono belle. Se educhi un popolo alla bellezza, alla cultura, alla musica, cambi priorità nella vita. Basta solo un po’ di cultura.Quella che hanno attaccato. La mancanza di cultura genera violenza, genera delinquenza. Il quadro è chiaro.
Il brano che parla di migranti ci ha colpito molto anche perché, come in tutto l’album, non usi mezzi termini. In “La notte più lunga” dici “non fatevi sfuggire questo show sensazionale”. Per una siciliana, per la Siilia, primo impatto del dolore, cosa sono i viaggi della speranza?
La verità è questa: questa gente sta fuggendo dalla guerra, non fugge da una situazione precaria, in cerca dell’eldorado in Europa. Questa gente fugge da una guerra. Il momento storico di per sé suggerisce un’emergenza. Siccome siamo stati tutti bravi, Stati Uniti ed Europa, a sventolare il vessillo della democrazia in Afghanistan, in Iraq, perché siamo bravi e buoni e avevamo tanta voglia di aiutare quei popoli, allora ora che stanno venendo a chiederci aiuto, pure dovremmo essere bravi e buoni. Questa è la verità. Invece il “The Guardian” di Londra dice “ai nostri lettori non interessa questa vicenda”, il resto d’Europa se ne sta fottendo, noi in Italia sappiamo le frasi infelici che vengono pronunciate… Insomma, la verità è che questi fuggono dalla morte, quindi non hanno paura di morire affrontando un viaggio allucinante. Certo, se sapessero che basterebbe andare nella ambasciate dei paesi verso i quali sono diretti per avere il diritto di accedervi senza rischiare la vita, sarebbe meglio. Andrebbe fatta un po’ di informazione e, secondariamente, quando arrivano sulle nostre coste, arrivano degli esseri umani, non dei terroristi che viaggiano in business class, vista la loro organizzazione. Noi ci ritroviamo davanti delle umanità che ci stanno chiedendo aiuto. Dobbiamo essere coerenti con quello che abbiamo fatto anni fa dicendo loro “guarda che ti stiamo salvando. Noi non vogliamo mettere un piede nel tuo territorio perché abbiamo interesse alla ricostruzione. Siamo tanto buoni tutti quanti”. Ecco questo è il momento di dimostrare che siamo tanto buoni tutti quanti. Questi poveretti stanno bussando alle nostre porte. Noi (siciliani, nda) stiamo affrontando questa situazione nella maniera in cui qualsiasi italiano avrebbe fatto trovandosi davanti un bambino di un anno, trovandosi il mare che restituisce una scarpetta… Perché sono queste le cose che succedono nelle nostre spiagge.
Ci sembra di capire che è un album molto impegnato, proprio come l’autrice! Autrice che, leggevamo, nel frattempo, in questi cinque anni di pausa, si è dedicata al lavoro in una struttura di accoglienza turistica di famiglia, è vero?
Io per cinque anni non ho proprio fatto la cantante. Non ho proprio lavorato alla mia musica. Carmen consoli ha lavorato sulle aziende di famiglia. Io stavo al check-in, col trapano e martello per aggiustare i divani, ecc. Ovviamente la gente non ricollegava. A volte però nella sala del check-in, le persone guardavano me che li accoglievo in tuta, capelli legati, occhialini. Poi guardavano su, le foto di Carmen Consoli, ne vedevano un po’. La prima domanda era “Ma siete fan di Carmen Consoli?”, e io “eh… In effetti ci sono un po’ di foto, mannaggia a mia mamma che appende tutte queste mie foto al muro!” (ride). La mamma è fiera di me. I clienti non ci arrivavano, la maggior parte erano stranieri ma fra gli italiani, i più non ci arrivavano. Per cui vedevano questa femmina incinta assolutamente lontana da Carmen Consoli.
Se vi è capitato di essere a Catania in questi cinque anni, sappiate che avete avuto la possibilità di incontrare Carmen Consoli in reception!
Grazie Carmen di questa bella chiacchierata, a presto!
Grazie a voi.
http://www.carmenconsoli.it/
https://www.facebook.com/CarmenConsoliMusic
autore: Luigi Oliviero
“Ed ho capito soltanto adesso che avevi paura…” @carmenconsoli #cc15_napoli
Posted by OTRlive on Martedì 28 aprile 2015
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