La premessa è d’obbligo. Chi scrive non è un semplice estimatore di Paul Weller ma un fan, con i suoi 600 e passa bootleg catalogati, con i suoi ricordi di una vita legati indissolubilmente alle canzoni del Modfather; siano esse state composte da solista, sotto il nome dei Jam o quello degli Style Council, poco importa.
Ma di fronte ad un genio, ci si alza in piedi – fan o non fan – e non ci sono superlativi che tengano.
L’ultimo lavoro di Mr. Paul, Saturns Pattern (12° da solista), in uscita internazionale oggi, ne è l’esempio concreto e lampante.
Con quasi 40 anni di carriera alle spalle, icona di tante generazioni, Weller con questo album dimostra tutta la sua genialità creativa.
È quasi difficile descrivere questi 9 fantastici pezzi. Già al primo ascolto ti si attaccano sulla pelle e difficilmente riuscirai a levarli via. WhIte Sky, Saturns Pattern, Going My Way, Long Time, Pick It Up, I’m Where I Should Be, Phoenix, In The Car, These City Streets scorrono una dopo l’altra senza lasciarti un attimo per respirare.
Ogni pezzo vi sorprenderà per la capacità di meravigliare la vostra mente: la scrittura classica di un brano non la ritroverete. Dopo il singolo White Sky e il pezzo che dà il nome all’album, dove trovi passaggi psichedelici che si mescolano a nuovi suoni con tinte blues, non si può non innamorarsi al primo ascolto di Going My Way. Ci si addentra, poi, in un pezzo più elettro, Long Time, prima di passare ad uno dei brani che vai subito a collocare tra la discografia welleriana, Pick Up che scorre fino a lasciare il posto ad una perla: I’m Where I Should Be. Puoi anche farla girare a loop, non ti stancherà facilmente.
Il trittico finale è quello che meglio descrive tutto il nuovo sound di Weller: Phoenix, In The Car e These City Streets, li ascolti e pensi “Il piacere di scrivere e suonare: Godlike Genius”.
È proprio il caso di dirlo, I’m Where I Should Be, ovvero qui, a riascoltare di nuovo Saturns Pattern.
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autore: Marco Cesaro