Avevamo una band in Italia in grado di poter fare musica come Sigur Ros, M83, Lamb, Explosions in the Sky, Mogwai, e non lo sapevamo. E probabilmente continueremo a non saperlo, o meglio continueranno a non saperlo gli amanti del mainstream e non-lettori di Freak Out
Perché gli italianissimi Amycanbe (originariamente formati da Marco Trinchillo e Mattia Mercuriali nel 2002, poi divenuti quartetto nel 2005, dopo che Francesca Amati e Paolo Gradari si uniscono al gruppo, e ora quintetto con Glauco che ha sostituito Paolo, e Mattia “Matta”) che provengono dal cuore della Romagna, Cervia, fra Cesena e Ravenna, fanno live molto più all’estero che da noi. E sono le radio estere a passarli continuamente. Da noi questa musica non ha futuro nelle radio nazional-popolari che devono passare i Dear-Jack per contratto.
Ma c’è di più: stavolta è giusto così. Gli Amycanbe, benché della stessa terra di Casadei e del liscio, hanno il sound più internazionale che musica fatta in Italia abbia mai conosciuto: hanno sempre guardato all’estero, dagli esordi con tour in UK a collaborazioni con musicisti e producers inglesi o americani. Dice tutto la storia di questo disco: registrato a Forlì, e mixato a New York, nientepopodimeno che da Roger O’Donnell dei Cure. Wolf è il loro terzo album: un disco difficile, in qualche modo, più difficile rispetto agli altri due, l’album di esordio Being A Grown-Up Sure Is Complicated del 2007 e poi Mountain Whales, del 2011. C’è tutto il sapore della sfida, perché Marco Mattia Francesca e Glauco e Matta cercano di più la strada dell’elettronica, dei campionamenti, di quello che insomma oggi è il sentiero dell’alternative elettro-pop come gli M83. C’è forse meno passaggi evidenti di chitarra e basso, meno musiche facili, più contrasti.
A garanzia della continuità fra questo disco e i precedenti c’è tuttavia la presenza al missaggio di un pezzo da novanta come Mark Plati (che ha lavorato, tanto per fare qualche nome, con David Bowie, Prince, Dave Navarro, The Cure, Emelie Simon, Charlie Winston). E poi, la garanzia di continuità melodica è data dalla sempre suggestiva e fiabesca voce di Francesca, che rende anche le composizioni più ardite mai lontane dal solco della melodia.
Una melodia che poi si dispiega attraverso le lunghe parti strumentali, a volte selvagge e cupe come in alcune parti di 5 is the number o nella title track Wolves, a volte solari, radiose e epiche come nella strumentale Orata, o in Where From (il cui attacco iniziale è forse la cosa più bella che gli Amycanbe abbiano mai composto, e ricorda direttamente le cose più emozionanti di band come Mogwai o Explosions in the Sky) a volte oniriche e quasi trip-hop come in Grano o White Slide, a volte elettronicamente esplosive come nella parte conclusiva di I Pay, che ricorda certi remix degli anni ’90 dei pezzi dei Depeche Mode.
Altra continuità col passato è l’attenzione nella composizione delle liriche per il mondo animale: come balene e rettili nei dischi precedenti, qui ci sono pesci e soprattutto lupi, l’animale a cui il disco è dedicato sin dal titolo. Francesca in particolare trae la sua ispirazione compositiva dall’osservazione di attori estremamente semplici del mondo della natura, e ciò viene convertito qui in musica attraverso sfotware e sintetizzatori, ma non così eccessivamente da cancellare gli strumenti, che continuano a mantenere una parte importante.
Siamo insomma di fronte a una perfetta fusione, a un perfetto equilibrio, che rende i pezzi forse difficili al primo ascolto ma sempre più ricchi man mano che si continua ad ascoltare.
E con questa linea melodica e con questi arrangiamenti, sembra che gli Amycanbe abbiano trovato il loro stile “classico”: uno stile per il quale si evolvono fino al punto di non dovere né potere più essere la band che somiglia a qualcun altro, ma proprio loro, con il loro sound, per quanto inserito all’interno di un genere che si muove intorno ai gruppi citati. Dentro questo Gotha però, ci entrano adesso anche loro, di prepotenza, con il loro marchio di fabbrica, con la voce di Francesca inconfondibile, con le trame degli strumentisti della band, con la fantasia creativa di Marco e Mattia.
Wolf è senz’altro il loro capolavoro, anche nei testi, come si nota ascoltando Queens, storia di un’amicizia in viaggio fra donne assurta a esperienza puramente estetica.
Benché gli Amycanbe continueranno benissimo la loro carriera all’estero, nei club e nei pub dove li accoglieranno calorosamente cittadini di tutta Europa, se vi capitano di passaggio in qualche città italiana non lasciateveli scappare. Parola di Freak Out.
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autore: Francesco Postiglione